POUSSIN: LES BERGERS D'ARCADIE, 1639-40

 

 

Quello che però rappresenta un vero colpo di genio è la spiegazione che Baldini fornisce della forma "sbagliata" dell'ombra proiettata sul sepolcro: tale ombra restituisce proprio la figura di un uomo accosciato intento a portarsi un dito alla bocca come per intimare il silenzio: ed era proprio questa la rappresentazione tipica di Arpocrate, come si può vedere in questa sua rappresentazione seicentesca, tratta da un libro di Pignoria:
 

            

 

Baldini ne conclude: "Alfeo lascia dunque il posto ad Arpocrate, senza che nulla muti quanto a significazione", ed il significato è ovviamente che il messaggio è comprensibile solo agli iniziati e non deve essere divulgato ad orecchie profane.

Il quadro dunque "corregge" il precedente retrodatando la tradizione arcadica e formulando un giudizio differente quanto alla sua origine. In questa prospettiva la frase Et in Arcadia ego cambia senso, perché è ora Iside stessa a pronunciarla, esprimendo il fatto che la tradizione che la concerne è stata importata in Arcadia dall'Egitto; è come se dicesse: Io, Iside, sono venuta anche in Arcadia.

Quanto al titolo I pastori d'Arcadia, apparentemente fuorviante, la soluzione pare piuttosto semplice: abbiamo visto che Félibien, amico di Poussin, quando nel suo libro vuol parlare di lui, sceglie come interlocutore Pymandre, con un evidente riferimento al Poimandres, il primo trattato del Corpus Hermeticum. Ora, come sappiamo, Pimandro, secondo l'interpretazione corrente, vuol dire esattamente pastore di uomini. Pastore è dunque Poussin, nel già citato senso di "custode della tradizione ermetica", così come pastori sono tutti i membri della setta Le Brouillard della quale egli probabilmente faceva parte.

Fin qui il discorso di Baldini ci sembra pienamente plausibile; dove ci troviamo in disaccordo con lui è sulle conclusioni che ne trae, riconducendo tutto alla solita allegoria alchemica: "il cranio, - scrive Baldini - ora assente, è sostituito dal gesto di Orapollo, il fuoco, che indica alla madre il luogo della propria provenienza": infatti l'esito della Prima Opera consiste nel fatto che l'aria si unisce all'acqua, mentre il fuoco alla terra.

Circa poi il fatto che il dito di Arpocrate non indichi più la lettera D come nel quadro precedente, bensì la R, la spiegazione di Baldini si fa talmente cervellotica da costringere il lettore a domandarsi per chi Poussin avrebbe nascosto nel dipinto indizi così astrusi, oltre che, tutto sommato, poco rilevanti: la R, egli scrive, è  ermeticamente equivalente alla R (rho) greca e alla r (resh) ebraica; kabbalisticamente corrisponde a Saturno e simboleggia la testa dell'uomo. E' anche l'emblema del fuoco. Perciò "la R, per la sua maggiore estensione semantica, esprime il segreto del caput mortuum o saturno dei filosofi in modo più pregnante che non la D."

A suo dire permane anche, in modo a dir poco enigmatico, il riferimento all'aria, "strumento necessario per estrarre le ossa saline dalla carne metallica di Osiride", che risulterebbe "pienamente evocato da la erre, l'aere." (?).

Il commento finale dello studioso è a dir poco sconcertante: "non si può non rimanere incantati dal genio enigmistico di Poussin".

Certo: talmente enigmistico da rendere pressoché indecifrabile il dipinto, e non solo ai comuni mortali, ma anche - supponiamo - agli stessi alchimisti.

Ecco perciò che l'interpretazione di Baldini, partita da ottime premesse e sostenuta da intuizioni veramente brillanti, si affloscia proprio sul finale ed approda a risultati che riteniamo assolutamente non condivisibili per la loro astrusità e, non ultimo, per la loro futilità: è assurdo pensare che questo dipinto abbia suscitato l'interesse di tante persone, dal Re Sole a Saunière, per motivi del genere. Poussin non era certo l'unico a conoscere, in una data così tarda, gli arcani dell'Alchimia-Archimia, arte importata in Francia più di un secolo prima e praticata, per esempio, dallo stesso Nicolas Fouquet: e allora, in che senso la si poteva considerare un segreto di cui il solo Poussin era depositario, come afferma Louis Fouquet nella sua lettera? In che modo la decifrazione di questa allegoria alchemica avrebbe potuto garantire "un immenso potere"? Per quale motivo tanto interesse proprio intorno a questo dipinto?

La tesi di Baldini, quindi, dato che non spiega l'essenziale, risulta tanto intrigante quanto inconsistente.