Sensatamente,
poi,
anche
Baldini
osserva
che
qualcosa
non
va
nell'abbigliamento
della
donna,
e
questa
volta
crede
di
trovare
la
risposta
in
Apuleio
(II
d.C.):
"non comprendiamo come generazioni di studiosi abbiano potuto
continuare a considerare la dama del dipinto come una "pastora" quando
tutto, dalla sua aria ieratica ai colori del suo abbigliamento ce la presenta
come la consorte vedova di Osiride, ossia Iside, secondo la classica descrizione
di Apuleio nel suo Asino d'oro".
Questa la
descrizione
apuleiana (Metamorfosi
o
L'asino
d'oro
XI, 3):
Tunica multicolor, bysso tenui pertexta, nunc albo candore lucida,
nunc croceo flore lutea, nunc roseo rubore flammida et, quae longe
longeque etiam meum confutabat optutum, palla nigerrima splendescens
atro nitore.
La tunica era di colore cangiante: intessuta di bisso
finissimo, ora brillava d'un bianco luminoso, ora appariva d'un giallo
oro, ora rosseggiava d'un colore di viva fiamma. Quello che poi mi abbagliava
completamente la vista era il mantello: nerissimo, tutto lucente d'un fosco
splendore.
Francamente
a
noi
non
sembra
che
la
descrizione
coincida
-
se
non
a
grandissime
linee
- con
quanto
si
vede
nel
dipinto:
tanto
per
dirne
una,
in
quest'ultimo
non
è
la
tunica,
ma
il
mantello
ad
essere
giallo;
ad
ogni
modo,
che
si
tratti
di
una
dèa,
dato
l'atteggiamento
ieratico, l'espressione
imperscrutabile
e
l'abbigliamento
solenne,
ci
pare
plausibile;
e
che
possa
trattarsi
di
una
divinità
collegata
con
la
castità,
come
Iside,
ci
sembra probabile,
dato
che
il
suo
vestiario
è
molto
pudico.
La
donna
del
dipinto,
secondo
Baldini,
sarebbe
dunque
Iside,
ed
il
quadro di
Poussin
avrebbe
una
chiave
di
lettura
non
troppo
lontana da
quella
del
romanzo
di
Apuleio,
che
dissimula
il
significato
religioso
(isiaco,
appunto)
della
sua
storia
sotto
un'apparenza
frivola
e
libertina,
tanto
che
chi
si
fermasse
alla
lettera
del
testo
ne
ricaverebbe un'impressione
completamente
distorta:
esattamente
come
chi
si
limitasse
ad
interpretare
questo
dipinto
come
"gruppo
di
pastori
in
Arcadia"
o
"memento
mori".
Sennonché
Apuleio
ci
fornisce
per
ben
due
volte la
chiave
di
lettura
delle
Metamorfosi,
contenuta
in
modo
implicito
nella
novella
di
Amore
e
Psiche,
che
occupa
la
parte
centrale
del
romanzo,
ed
esplicitata
in
modo inequivocabile
nel
libro
XI
ed
ultimo.
Purtroppo
Poussin
si
guarda
bene
dal
fare
altrettanto
e
ci
lascia
brancolare
nel
buio.
Ad
ogni
modo,
ci
informa
Baldini,
è
risaputo
che il Seicento è stato il secolo di Iside,
ed
uno
dei fulcri del rinnovato culto di Iside era proprio l'ambiente gesuitico
della capitale, soprattutto per opera dell'amico di Poussin, il padre Atanasius
Kircher.
Questa
dèa
aveva
assunto
un'importanza
straordinaria
già
nell'Occidente
ellenistico
ed
in
epoca
romana,
come
dimostra
appunto
il
caso
di
Apuleio;
ma
una
testimonianza
altrettanto
eloquente
in
proposito
ci
è
fornita
da
Plutarco
(I
d.C.).
Lo
scrittore
greco,
sensibile
all'esoterismo
platonico
ed
orientale,
ci
fornisce
nel
De
Iside
et
Osiride
un'interpretazione
molto
interessante
della
santa
trinità
egizia,
costituita
da
Osiride,
Iside
e
Horus,
il
loro
figlio.
A
suo
parere
questi
personificano
l’Intelligenza,
la
Materia
e
il
Cosmo,
ed
insieme
formano
il
"triangolo
perfettissimo",
detto
anche
"triangolo
sacro".
E'
lecito ipotizzare
che
tre
dei
personaggi
raffigurati
nel
dipinto
di
Poussin
siano
appunto
la
"santa
trinità
egizia"
costituita
da
Iside,
Osiride
e
Horus?
Contrariamente
a
quanto
potremmo
pensare,
Baldini
lo
nega:
a
suo
parere,
infatti,
la
scena
si
svolge
dopo
la
morte
di
Osiride,
che,
come
sappiamo
dal
mito,
Iside
riportò
in
vita
per
ben
due
volte,
ed
è
probabile
che
il
sepolcro
contenga
proprio
il
suo
corpo.
Non
sarà
inutile
ricordare
che
la
prima
volta
Osiride
fu
ucciso
da
suo
fratello
Seth,
malvagio
e
invidioso,
proprio
con
lo
stratagemma
di
una
tomba:
Seth
infatti
aveva
fatto
costruire un
sepolcro
prezioso e
durante
un banchetto
aveva
annunciato che ne avrebbe
fatto dono a colui al quale si fosse adattato. Dopo che alcuni avevano
tentato senza successo di entrarvi, Seth aveva esortato il fratello a provarlo, ma non appena
Osiride vi si era adagiato dentro, il coperchio era stato chiuso e sigillato e
il
sepolcro
era
stato
gettato
nel Nilo, dove
Osiride
era
annegato.
I
personaggi
qui
effigiati
sarebbero
dunque,
secondo
Baldini, Iside
ed
i
suoi
tre
figli:
da
destra
verso
sinistra
Horus,
detto
anche Orapollo (Horus - Apollo),
vestito del colore del fuoco,
Arpocrate,
dio del silenzio e della riservatezza iniziatica, ed Ermanubi
(Ermes - Anubi, figlio illegittimo di Osiride e di Neftis), figura eminentemente
aerea. Il gesto materno e ressicurante di Iside nei confronti di Horus potrebbe
alludere
proprio
al
fatto
che
la
dèa
si
appresta
a
far
rivivere
lo
sposo.
E
forse
la
crepa
nel
suolo
allude
(ma
è
solo
una
vaga
ipotesi)
al
fatto
che
Osiride,
dopo
la
"seconda
morte",
divenne
re
dei
defunti.
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