LA MADRE IN UNGARETTI E MONTALE

 

 

E' strano, ma significativo, come la visione più nobile ed idealizzata della maternità non sia femminile, ma maschile. Sono in particolare i figli maschi ad esprimere nei confronti delle loro madri sentimenti di vivissimo amore, di infinita gratitudine e di profonda ammirazione, come abbiamo già visto nel caso di Agostino e Monica, Michelangelo e sua madre (identificata con la Vergine Maria) e, sia pure con maggiore freddezza e razionalità, di Seneca ed Elvia; e non si riesce ad immaginare figura di madre più alta e commovente di quella della madre di Cecilia raffigurata da Manzoni ne I Promessi Sposi.

In tempi recenti hanno dedicato celebri poesie alla propria madre Gabriele D'Annunzio (Consolazione del 1891), Umberto Saba (Preghiera alla madre del 1932), Eugenio Montale (A mia madre del 1942), Giuseppe Ungaretti (La madre del 1930) e Pier Paolo Pasolini (Supplica a mia madre del 1964). Riporto di seguito le ultime quattro.

 

 

Giuseppe Ungaretti, La madre

 

E il cuore quando d’un ultimo battito

avrà fatto cadere il muro d’ ombra,

per condurmi, Madre, sino al Signore,

come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,

sarai una statua davanti all’ Eterno,

come già ti vedeva

quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,

come quando spirasti

dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando mi avrai perdonato

ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d’ avermi atteso tanto,

e avrai negli occhi un rapido sospiro.

 

Eugenio Montale, A mia madre

 

Ora che il coro delle coturnici

ti blandisce dal sonno eterno, rotta

felice schiera in fuga verso i clivi

vendemmiati del Mesco, or che la lotta

dei viventi più infuria, se tu cedi

come un’ombra la spoglia

(e non è un’ombra,

o gentile, non è ciò che tu credi)

chi ti proteggerà? La strada sgombra

non è una via, solo due mani, un volto,

quelle mani, quel volto, il gesto di una

vita che non è un’altra ma se stessa,

solo questo ti pone nell’esilio

folto d’anime e voci in cui tu vivi.

E la domanda che tu lasci è anch’essa

un gesto tuo, all’ombra delle croci.

 

La figura materna è un topos della letteratura di ogni tempo e di ogni luogo, ma la costanza è solo tematica, perché le modalità propositive sia a livello tematico che stilistico, mutano non solo in base al contesto storico-culturale in cui gli artisti hanno vissuto ed operato, ma anche in base alla loro specifica individualità culturale e caratteriale.

Come altri poeti del Novecento, anche Ungaretti e Montale hanno proposto la figura della madre nella loro poesia, ma ce ne danno una rappresentazione e ci descrivono un rapporto con lei e con la morte completamente antitetico.

Nello specifico, a rendere così diverse le poesie dei due autori dedicate alle rispettive madri è principalmente la religione: Ungaretti, dopo il periodo di riflessione trascorso nel monastero di Subiaco, trovò nella religione cattolica lo strumento per uscire dal male di vivere, dalla condizione di uomo di pena, per passare dal tragico del contingente, alla sublimità dell’assoluto; Montale invece, se si prescinde da una giovanile influenza di tematiche religiose, resta estraneo ad una riflessione esistenziale e metafisica sul Cristianesimo, e pertanto il ricordo materno resta legato alla memoria terrena, senza quell’apertura trascendentale che invece è presente in Ungaretti.