3) come esaltazione
della vita in
un senso più
alto, nobile
e spirituale,
non biologico
e che non necessariamente
passa attraverso
la gravidanza
e la riproduzione:
ovvero prima
di tutto come
istinto di protezione
e di conservazione
delle creature
viventi, a prescindere
da chi le abbia
messe al mondo,
e poi come tentativo
di trasmettere
loro dei valori
su cui fondare
la propria esistenza.
Questo modo
di intendere
la maternità
è proprio
non direi di
intere civiltà,
ma di persone
particolarmente
evolute. Se
dovessi citare
un movimento
di pensiero
interamente
orientato in
questo senso,
opterei per gli Stoici, per
i quali tutto deriva
dalla razionalità
universale immanente
(il Lògos) ed
è un
dovere per tutti,
a prescindere
dal sesso, impegnarsi
a favore del
prossimo. Non
è un
caso che proprio
in ambito stoico
si trovino figure
di grandi
donne e madri,
da Arria
Maggiore ad
Elvia,
la madre di
Seneca.
Fra
gli esempi più
nobili di questo
modo metaforico
e spirituale
di intendere
la maternità
citerei
in tempi
recenti Madre
Teresa di Calcutta,
e per l'antichità
Epìcari,
la liberta che,
posta sotto
tortura, si
uccise nel 65
d.C. pur di
proteggere i
suoi complici
nella "congiura
dei Pisoni"
(che non erano
legati a lei
da alcun legame
di parentela).
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Madre
Teresa di Calcutta
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Riporto
di seguito il
brano di Tacito
(Annales
XV 57) che racconta il
suo eroico sacrificio:
Atque interim Nero recordatus Volusii Proculi indico
Epicharin attineri ratusque muliebre corpus impar dolori tormentis
dilacerari iubet. at illam non verbera, non ignes, non ira eo acrius
torquentium, ne a femina spernerentur, pervicere, quin obiecta
denegaret. sic primus quaestionis dies contemptus. postero cum ad
eosdem cruciatus retraheretur gestamine sellae (nam dissolutis membris
insistere nequibat), vinclo fasciae, quam pectori detraxerat, in modum
laquei ad arcum sellae restricto indidit cervicem et corporis pondere
conisa tenuem iam spiritum expressit, clariore exemplo libertina mulier
in tanta necessitate alienos ac prope ignotos protegendo, cum ingenui
et viri et equites Romani senatoresque intacti tormentis carissima
suorum quisque pignorum proderent.
Intanto
Nerone si ricordò
di Epicari,
trattenuta in
carcere dopo
la delazione
di Volusio Proculo,
e, pensando
che il corpo
di una donna
non reggesse
alle sofferenze,
ordina di straziarla
con la tortura.
Ma non le sferzate,
non i ferri
roventi, non
l'accanimento
dei carnefici
esasperati dalla
paura di subire
uno smacco da
una donna, riuscirono
a farle ammettere
le imputazioni.
Così
passò,
senza nulla
di fatto, il
primo giorno
di interrogatorio.
L'indomani,
mentre la riportavano
alla tortura
sopra una lettiga,
perché
gli arti slogati
non la reggevano,
Epicari si tolse
una fascia dal
seno, la fissò
alla volta della
lettiga a mo'
di cappio, vi
introdusse il
collo e, lasciandosi
andare con tutto
il peso del
corpo, esalò
il debole soffio
di vita rimastole:
gesto tanto
più nobile
da parte di
una donna, una
liberta, la
quale, in una
situazione così
disperata, cercava
di salvare persone
estranee e a
lei quasi sconosciute,
mentre uomini
nati liberi,
dei maschi,
cavalieri e
senatori romani,
non sfiorati
dalla tortura,
tradivano, ciascuno,
le persone più
care.
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