2)
come strumento
di sottomissione
della donna
nelle società
patriarcali,
nella quali
alla donna è
riservato il
puro e semplice
ruolo di fattrice
e di contenitore
del seme maschile,
un fastidioso
inciampo (o
un piacevole
diversivo) sul
cammino del
maschio dominante,
il quale, non
essendo in
grado di riprodursi
da solo per
partenogenesi,
si serve della
femmina per
questo scopo,
talvolta semplicemente
obbligandola
mediante leggi
e convenzioni
sociali, talvolta
mediante il
plagio religioso,
talvolta, più
astutamente,
attraverso una
sottomissione
soft,
come si è
tentato di fare
nel cosiddetto
"Occidente
civile",
e cioè
inculcando nella
donna il mito
della maternità:
la donna è
"angelo
del focolare",
"mamma
è bello",
"di mamma
ce n'è
una sola",
"mamma
ti amo",
fiori, cuoricini,
festa della
mamma e quant'altro.
Questo è
tipico delle
civiltà
in cui Dio
è maschio.
In questo tipo
di civiltà
le donne che
vogliono evitare
la sottomissione
al maschio tentano
di sfruttare
a proprio vantaggio
la debolezza
sessuale di
quest'ultimo
oppure scelgono
la via opposta
della rinuncia
al sesso: è
una civiltà
che produce
da una parte
madri-e-mogli,
dall'altra etere,
geishe, "escort",
prostitute,
"veline",
"letterine",
soubrette e
simili,
dall'altra ancora sacerdotesse,
suore, mistiche,
missionarie
laiche, studiose.
Caratteristica
tipica della
madre della
civiltà
patriarcale
è l'anteporre
il maschio
alla femmina,
da cui il
mito del figlio
maschio:
da Cornelia,
la madre dei
Gracchi, a Monica,
la madre di
Sant'Agostino,
alle madri
fasciste,
è tutta
una lunga carrellata
di esempi,
così
numerosi che
non è
neppure il caso
di citarli.
Fra quelli più
significativi
(in senso negativo
ed in senso
positivo) ricorderei da
un lato le madri
che tollerano
gli abusi sessuali
sulle figlie
(e talvolta
sui figli) fingendo
di non accorgersene,
fenomeno ben
noto agli assistenti
sociali, dall'altro
la splendida
ribellione di
Filumena
Marturano
di Eduardo
De Filippo,
del 1946: una
donna semplice
ma con una visione
altissima della
maternità
("i figli
so' piezz' 'e
core"),
una ex-prostituta
che,
pur non essendo
in grado di
emanciparsi
dalla sudditanza
al suo amante-padrone
Don Mimì,
lo mette alle
corde costringendolo
a prendersi
cura di tutti
e tre i suoi
(di lei) figli,
rifiutandosi
di rivelargli
di quale dei
tre sia padre.
Titina
e Eduardo De
Filippo in una
scena di Filumena
Marturano
Forse l'espressione
più tipica
della maternità
asservita alla
mentalità
maschile è
quello della
donna spartana,
che a tal punto
rinnega la caratteristica
primaria della
maternità,
ovvero l'istinto
di conservazione
della prole,
da congedare
il figlio maschio
che va in guerra
con la celebre
esortazione
ἢ τὰν ἢ ἐπὶ τᾶς riportata
da Plutarco (Moralia 241,16, "Detti degli Spartani", Άποφθέγματα Λακωνικά, alla sezione "Detti delle donne spartane":
Ἄλλη προσαναδιδοῦσα τῷ παιδὶ τὴν ἀσπίδα καὶ παρακελευομένη, "τέκνον," ἔφη, "ἢ τὰν ἢ ἐπὶ τᾶς":
"un'altra, consegnando
al figlio lo scudo ed esortandolo, disse: 'Figlio, o con questo o sopra
questo'");
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