LUCIANO E L'APPRENDISTA STREGONE

 

 

Spesso, quando si fa riferimento ad un personaggio che gioca con le oscure potenze della Natura senza possedere una effettiva padronanza della situazione né una chiara percezione delle possibili conseguenze, viene chiamato in causa il mito dell'apprendista stregone, come io stessa ho fatto parlando delle sperimentazioni sul nucleo atomico del "Progetto Manhattan" ed in particolare di John von Neumann, che del suo eccesso di sicurezza cadde probabilmente vittima; molti lo hanno tirato di nuovo in ballo a proposito delle attuali ricerche sul "bosone di Higgs", in corso di svolgimento al CERN di Ginevra, e sui potenziali rischi ad esse connessi (inclusa la creazione "accidentale" di buchi neri); del resto, come ho fatto notare, anche il bellissimo film Il dottor Stranamore di Stanley Kubrick non è che una moderna rivisitazione dell'antico racconto, metafora della odierna presunzione positivista.

Pochissimi però sanno a chi risalga questo racconto: per lo più si crede che l'archetipo sia Der Zauberlehrling di Goethe, ma in realtà la storia è ben più antica. Essa infatti compare per la prima volta nel Philopseudès ("L'amante del falso") di Luciano di Samòsata (120 - circa 180 d.C.).

Il titolo del dialogo è profondamente ironico, come è tipico del razionalismo lucianeo, e fa riferimento a quello che è un vero e proprio leit-motiv della produzione dell'autore: egli contrappone ai veri sapienti, quelli dell'antichità, che ricercavano il vero, i volgari ciarlatani del suo tempo, spacciatori di fedi a buon mercato, incapaci di discernere la scienza dalla superstizione e dalla magia: non più, quindi, "Amanti del vero sapere", come è implicito nella parola φιλο-σοφία, e poiché non ci sono vie di mezzo tra la ricerca del vero e la rinuncia ad essa, puri e semplici "Amanti del falso".

 

 

Luciano di Samòsata

 

Il dialogo è immaginato svolgersi in casa di un rispettabile filosofo ammalato, al capezzale del quale si radunano altri filosofi, o meglio pseudo-filosofi, che raccontano di malattie guarite con rimedi strani e fantasiosi, incantesimi e formule magiche. Sopraggiunge Tichìade, "maschera" satirica di Luciano, che se la ride di questi racconti e viene perciò accusato di miscredenza. Nello sforzo di convincerlo, i presenti raccontano le più stravaganti avventure, assicurando di esserne testimoni oculari. Si giunge al turno di Eucrate, che racconta la disavventura capitatagli in gioventù, quando si trovava in Egitto ed era apprendista del mago Pancrate: ascoltiamo così per la prima volta, dalla sua voce, la storia dell'apprendista stregone.

Desideroso di carpire i segreti del suo maestro, il ragazzo, trovatosi un giorno da solo, sperimenta un sortilegio che aveva visto fare allo stregone, il quale, grazie ad alcune parole magiche, riusciva ad animare un pestello ed inviarlo ad attingere acqua con un’anfora. L’incantesimo riesce e il pestello svolge il suo compito, ma Eucrate, ignorando la formula necessaria per riportare l’oggetto allo stato iniziale, non è in grado di fermarlo, per cui esso continua imperterrito a prendere l’acqua e a versarla dentro la casa del mago.

A questo punto il giovane tenta di risolvere il problema tagliando il pestello con un’accetta, ma ottiene come unico risultato la formazione di due “pestelli gemelli” di dimensioni più piccole, che si muovono ancora più velocemente e, ovviamente, continuano a portare acqua e a versarla in casa. Solo il ritorno del mago porrà fine a quella situazione incresciosa, ed anche all’apprendistato di Eucrate, che conclude qui la sua promettente carriera di stregone.