Con
queste domande
Socrate
non è
mai alla
ricerca
di una definizione
da vocabolario
di un termine
che gli
è
sconosciuto,
perché
di solito
il suo ‘X’
è
un concetto
che lui
e i suoi
rispondenti
usano in
modo estremamente
ricorrente.
Inoltre
la sua
domanda
non è
mai una
richiesta
di informazione
né
una specie
di ‘richiesta-verifica’,
propria
del maestro
che intende
verificare
la preparazione
dell’allievo,
perché
Socrate
ricerca
insieme
con il suo
interlocutore.
Le domande
di Socrate
sostano
su un gradino
intermedio
tra questi
due estremi.
La risposta
cercata
da Socrate
è
da un lato
una definizione
analogica
che fornisca
degli equivalenti
di X, dall’altro
una risposta
che restringendo
il campo
degli attributi
di X, si
limiti a
definirlo
con l’elencazione
di tutte
quelle caratteristiche
per cui
X è
X e per
cui tutte
le X vengono
dette X.
Ritratto
di Socrate
I
presupposti
filosofici
sottesi
a questo
metodo di
inchiesta
sono i
seguenti:
a)
X è
un termine
univoco;
b)
la cosa
X ha un’essenza;
c)
l’essenza
non è
una struttura
primaria,
ma ha una
struttura
che può
essere ancora
analizzata
e spiegata.
La
definizione
elenctica
è
in cerca
della singola
cosa che
è
comune a
molti individui
singoli.
La certezza
che la definizione
e l’esistenza
di questa
‘cosa singola’
che si predica
di molti
individui
siano possibili
deriva dall’evidenza
per cui
a molte
cose viene
attribuito
un nome
comune.
A sua volta
quest’ultimo
fatto è
reso possibile
dalla natura
comune
che apparenta
le cose.
La
definizione
che Socrate
ricerca
mira dunque
all’elemento
comune (definiens)
a tutte
le cose
chiamate
con un unico
nome (definiendum).
Perché
si abbia
tuttavia
un perfetto
dispiegamento
dell’èlenchos
socratico
si rendono
necessarie
alcune
condizioni.
In
primo luogo,
alle affermazioni
dell’interlocutore
di turno
devono realmente
corrispondere
delle convinzioni
profonde.
Il rispondente
deve poi
essere
convinto
della validità
logica
dell’argomentazione
socratica
e convenire
sulle premesse
da cui prende
inizio l’argomentazione.
Quando
la confutazione
elenctica
consiste
nella riduzione
all’assurdo
delle tesi
del rispondente,
quest’ultimo
deve vedere
con evidenza
questa assurdità.
L’èlenchos
non è
il tribunale
di Socrate,
ma è
il tribunale
della ragione,
il cui verdetto
viene pronunciato
da Socrate
solo perché
egli è
il solo
interlocutore
che non
rappresenta
se stesso,
ma il paradigma
dell’interlocutore
razionale.
Tutto questo
gli è
consentito
esclusivamente
dall'ironia,
che, abbassando
l'individuo
Socrate
a livello
di "colui
che non
sa (ma desidera
sapere)",
innalza
per contrapposto
la Ragione
di cui egli
si fa rappresentante.
Per questo Vlastos introduce la figura dell'ironia complessa:
a differenza dell'ironia semplice, in cui il senso letterale di ciò che si
dice è falso, nell'ironia complessa il contenuto superficiale è vero in
un senso e falso in un altro. Perciò Socrate è ignorante in senso letterale, ma è sapiente in un altro e più profondo senso,
e cioè perché le sue confutazioni, e soprattutto il modo in cui le
compie, attraverso l'èlenchos e la maieutica, servono a dare avvio a un cammino verso la conoscenza che
ognuno deve compiere da sé.
Di
qui parte
la riflessione sull'ironia
che si svolge
nei secoli
successivi,
e che coinvolge
anche la
storia della
filosofia.
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