Scritto nel 44
a.C.
poco prima del De officiis
ed
a poca distanza dal Cato maior
e come quest'ultimo dedicato all'amico Attico, epicureo,
il breve dialogo Laelius de amicitia è ambientato da Cicerone nell'anno 129, lo stesso del De re publica.
Anche qui, come nell'importante dialogo sullo Stato, gli interlocutori
appartengono al cosiddetto "circolo degli Scipioni": a pochi giorni
dalla misteriosa morte di Scipione Emiliano durante le agitazioni
graccane, Lelio rievoca davanti a Gaio Fannio e Mucio Scevola la figura
dell'amico scomparso e disserta sul valore e le finalità dell'amicizia
in se stessa.
Il clima è quello di una composta tristezza, ma il tono
è
combattivo;
lo
sfondo ritrae una situazione politica estremamente tesa, così com'era tesa
la situazione a Roma nell'anno 44, con Cesare da
poco assassinato e Cicerone che cercava il rilancio sulla scena
politica.
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Questo
in
sintesi
il
contenuto:
Cicerone riporta il racconto che afferma di avere ascoltato in gioventù da uno dei suoi
maestri, Quinto Mucio Scevola l'augure, il quale gli riportò, perché presente insieme con Gaio Fannio, l'oratio di Gaio Lelio, amico e consigliere di Scipione;
rievocando la figura
dell'amico scomparso, Lelio ha modo di intrattenere i propri interlocutori
sul valore e sulla natura dell'amicizia stessa (1-17).
L'amicizia, lungi dal risolversi in modo esclusivo nella sfera dell'utile e
dell'interesse particolare del singolo individuo, deve fondarsi prima
di tutto tra i boni cives su una comunione di valori etici condivisi, aventi il loro cardine nel concetto di virtus (18-28).
L'amicizia è un sentimento nobile che nasce dall'amore reciproco per la virtus, e non già
dal bisogno o da una certa cogitatio sulla sua utilità:
è
evidente
qui
la
polemica
con
Epicuro,
della
quale
abbiamo
già
detto,
polemica
che
nasce
da
un'interpretazione
distorta
o
tendenziosa
dell'amicizia
epicurea; l'amicizia
non si deve dunque regolare in base all'utilitas ma alla stessa virtus,
come aveva affermato già Aristotele, ed è per questo che
non si deve assecondare l'amico se il
suo comportamento
è
sbagliato,
nel
senso
che si pone contro la stessa virtù o addirittura
contro la patria: questa infatti non è più amicizia, ma complicità
(noi
diremmo
mafia) (29-44).
La vera amicizia, fondata sulla virtus, deve essere più forte delle avversità contingenti, un concetto che Cicerone esprime citando Ennio
(amicus certus in re incerta cernitur).
Infine
Lelio
espone
alcuni
criteri
pratici
per
la
scelta
degli
amici
e
mette
in
guardia
contro
i
falsi
amici
e
i
simulatori,
fra
i
quali
rientrano
anche
gli
adulatori
(45-104).
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Cicerone
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Che il Laelius sia un'opera dai significati anche apertamente politici è un dato spesso sottolineato dalla critica recente. Il dialogo nasce
sicuramente dalla volontà di superare l'antica e tradizionale
concezione romana dell'amicizia come serie di legami personali a scopo
di interesse politico, in una logica che oggi definiremmo
"clientelare". Cicerone, sulla scorta della riflessione sulla filosofia
compiuta negli anni di ozio forzato dall'attività pubblica, cerca
invece di definire e stabilire i fondamenti etici del sentimento che
lega gli uomini.
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