3. LA TESI GRAALIANA
I.
I
"RE
TAUMATURGHI":
I
MEROVINGI E
IL
"PRIORATO
DI
SION"
Pur
considerando
molto
plausibile
la
tesi
di
Baldini,
non
possiamo
tuttavia
esimerci
dall'accennare
ad
un'altra
tesi
che,
per
quanto
probabilmente
priva
di
fondamento,
ha
costituito
per
anni
una
pista
fra
le
più
battute.
La
tesi
è
che
quello
ritrovato
dai
due
pastori
del
Guercino,
appoggiato
sopra
un
cippo
o
una
tomba
(dove?
Su
questo
problema
bisognerà
tornare
analizzando
i
dipinti
di
Poussin),
sia
il
cranio
di
Dagoberto
II,
l'ultimo
dei
Merovingi.
Ricostruire la
vicenda dei Merovingi,
della loro fine e
della loro ipotetica
sopravvivenza segreta
è
un'impresa
disperante.
Impossibile, poi,
dire con
certezza
quale fosse
- ammesso che ci
fosse
-
il loro legame con
il presunto Priorato
di Sion.
La risposta che
va per la
maggiore negli
ambienti esoterici
è esposta
(con apprezzabile cautela
e
dovizia
di
particolari) nel
sito antiqua.altervista.org,
dal quale desumiamo
le informazioni
che seguono. In
breve: dalla stirpe
dei Franchi Sicambri sarebbe
derivata la dinastia
dei Merovingi.
Questi sovrani erano
noti anche come
"re taumaturghi",
sebbene i libri
di storia li ricordino
piuttosto come "re
fannulloni":
in effetti pare
che fossero
restii ad avere
contatti con il
prossimo e molto
poco
attivi, proprio
a causa della loro
natura sacra e della
loro capacità
di operare miracoli.
Si dice anche che
fossero di aspetto
bellissimo e molto
simili all'iconografia
tradizionale di Gesù,
e che i loro poteri
magici avessero
a che fare con i
loro capelli, che,
come
il
Sansone
dell'Antico
Testamento,
non tagliavano mai.
Questa notizia leggendaria
è involontariamente
confermata dallo
storico bizantino Prisco
(420-470 circa),
che conobbe Meroveo
nel 448 d.C. e
lo descrisse così:
"Io lo
vidi qui, ed era ancora molto giovane. Aveva bellissimi capelli biondi,
folti, lunghissimi che gli scendevano sulle spalle".
Inoltre - ed è questo l'elemento che più c'interessa
in
relazione
al
dipinto
del
Guercino - una tipica usanza merovingia
era
praticare
un
foro
nel cranio:
i Merovingi ritenevano
infatti che la
liberazione dell’anima dal
corpo potesse avvenire, dopo la
morte, solo tramite questo foro
rituale.
Questo
in
sintesi;
riteniamo però
opportuno ripercorrere
la
storia
di
questa
leggendaria
dinastia
in
modo
un
po'
più
particolareggiato.
Ritratto
idealizzato di
Dagoberto II, l'ultimo dei
Merovingi
Tacito
(55-120
d.C.), nel
De
origine
et
sito
Germanorum
del
98,
tenta
senza
troppo
successo
di
ricostruire
la
storia
dei
barbari
che
i
soldati
romani
avevano
conosciuto
durante
le
campagne
militari
in
Germania:
tutto
quello
che
riesce
a
concludere è
che,
nonostante le
popolazioni incontrate dalle legioni
romane appartenessero a circa 40 tribù diverse (forse anche di più,
un
centinaio), di fatto
discendevano tutte da tre grandi ceppi.
Gli scavi archeologici testimoniano che la loro sede originaria era
collocata tra la Scandinavia del sud e le coste del Baltico (Jutland) e lungo il
corso del fiume Elba, mentre altri reperti archeologici confermano ivi l'esistenza di
una cultura detta di "Jastorf" databile intorno al 700 a.C.: è questa l'epoca delle
prime grandi migrazioni delle popolazioni germaniche, che avvennero lungo due grandi direttrici: il Reno a ovest ed il
Danubio a sud. Inevitabilmente essi entrarono in contatto con la civiltà
dei
Celti
(chiamati
Galli
dai
Romani),
che si
era già diffusa in tutta l'Europa fin dal 1600 a.C.; lo sviluppo celtico
interessò anche l'Italia del Nord nell'ultimo periodo della loro massima
espansione, verso il 400 a.C. A causa, dunque, delle migrazioni germaniche del nord Europa, iniziate nel
700 a.C., dopo appena quattro secoli non esisteva più traccia, in Europa, dei
Celti, poiché o furono cacciati o,
lentamente, furono assorbiti da questi successivi popoli invasori.
Ed
ecco
un
dato
interessante:
gli invasori
provenienti
dal
Nord
erano
detti "Mero-Vei", cioè "Figli del Mare":
è
questa
la
prima
traccia
storica
del
nome
dei
Merovingi.
Col
passare
del
tempo,
delle
antiche
tribù
germaniche
rimasero soltanto
due
gruppi:
i
popoli
del
nord
attorno
al
Danubio,
gli
Alamanni,
e
quelli
stanziati
attorno
al
Reno,
i
Franchi,
popolo
composto
da
moltissime
tribù,
su
cui
finì
col
prevalere
quella
dei
Salii,
originaria
dell'Olanda,
dalla
zona
del
lago
salato
di
Yssel,
nel
mare
del
Nord.
La
tribù
dei
Salii
si
impose
a
sud-ovest
ed
arrivò
sino
allo
Schelda
ed
alla
Mosa
e
sulla
riva
sinistra
del
Reno,
mentre
una
seconda,
detta
dai
Romani
dei
Salii
Ripuarii,
penetrò
all'interno
della
riva
destra
renana
e
fu sempre piuttosto
ribelle
nei
confronti
della
prima.
Le
due
tribù
ebbero,
nel
357
d.C.,
alcuni scontri
con
l'esercito
romano
al
comando
dell'imperatore
Giuliano,
impropriamente
detto
"l'Apòstata".
E'
proprio lo
storico
di
Giuliano, Ammiano
Marcellino,
a scrivere
nelle
sue
cronache
che
la
tribù
dei
Salii
era
composta
da
uomini
forti
e
coraggiosi
che
si
erano
spinti
sino
alle
fortificazioni
sulla
strada
romana
di
Colonia.
Il
saggio
Giuliano,
che
con
i
barbari
aveva
stabilito
un
rapporto
fondato
sul
reciproco
rispetto,
era
giunto
con
loro
ad
un
compromesso: aveva
concesso
loro la
libertà,
qualificandoli
come
foederati e
consentendo
loro
di
rimanere
sul
territorio
nei
loro
villaggi,
che
in
seguito
divennero città.
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