GUERCINO, ET IN ARCADIA EGO

 

 

Pur con tutti i dubbi del caso, la pista alchemica ci sembra tuttavia in sé plausibile: il ragionamento di Baldini è troppo lungo e dettagliato per poterlo sintetizzare in questa sede (chi lo desidera può leggere qui il saggio in versione integrale), per cui ci limiteremo a riportare le sue conclusioni: il dipinto del Guercino sarebbe un'allegoria di una fase del processo alchemico o Grande Opera, quella considerata dai più come la prima: l'Opera al Nero o Nigredo, che dà luogo come risultato alla produzione di scorie note con il nome di caput mortuum: il che spiegherebbe nel più chiaro dei modi la presenza del teschio.

Scrive Baldini: "il risultato della "prima opera", a quanto pare, constava di un lingotto di "sostanza mercuriale" depurata che si depositava sul fondo della lingottiera, mentre le scorie - dette anche "feci" o "caput mortuum", e costituite da tutte le altre sostanze intervenute della reazione - galleggiavano in superficie come una specie di schiuma solida, nerastra e vagamente fetida, costituita in gran parte dai fluidificanti salini (il "sale") e dal ferro."

Nella stessa ottica Baldini legge anche un altro celebre dipinto del Guercino, l'Allegoria della Vanitas conservata nella collezione Feigen di New York:

 

 

Guercino, Allegoria della Vanitas, circa 1620

 

Segue una lunga e puntuale disamina degli elementi alchemici a suo parere coinvolti del dipinto, al termine della quale Baldini conclude:

"Riteniamo ormai di avere materiale a sufficienza per decifrare l'allegoria contenuta nel quadro di Guercino: il grande cranio posato in primo piano sul frammento di muratura è il "caput mortuum" che l'artista, al pari degli alchimisti del suo tempo, ci invita a non disprezzare. Che si tratti delle ossa di Oreste costituisce allora un'indicazione in più in quanto il nome Oréstes (Oreste), derivando da òros (monte), significa ovviamente "montanaro", "colui che abita in un luogo alto", e ciò identifica la posizione che dopo la prima opera le scorie assumono rispetto al lingotto sottostante. L'albero metà verde e metà secco che si vede nella parte superiore del dipinto allude proprio al fatto che la morte del caput è soltanto apparente, mentre una vita ora solo latente aspetta di esservi risvegliata."

Ecco poi la spiegazione (a nostro parere molto acuta) da lui fornita per lo strano aspetto della roccia dalla quale emergono i due pastori, la cui identità viene decifrata anch'essa in chiave alchemica:

"Caritatevolmente, Guercino ci mostra persino quale sia la reale apparenza fisica del "caput" durante le operazioni alchemiche, nonché cosa si possa trarre da un suo accorto utilizzo: la massa rocciosa e nerastra fronteggia il teschio perché lo rispecchia: infatti ha lo stesso medesimo aspetto delle scorie di fusione e da essa, quasi per un'illusione ottica, sembrano emergere i due strani personaggi. Ciò vuol dire, secondo noi, che ne provengono, e nell'ordine preciso in cui li elenca il brano di Stuart de Chevalier: prima il "sale prezioso" bianco come la neve (il personaggio più vicino a noi), poi, dopo la calcinazione al forno da riverbero, la sabbia "rossa come cinabro". [...]

 

 

Antica incisione raffigurante la Nigredo o Opera al Nero:

si noti il teschio (caput mortuum)

 

Per quanto riguarda l'ora antelucana in cui avviene la scena del quadro - espressa, come abbiamo detto all'inizio, dalla stasi degli animali diurni e dall'attività di quelli notturni -, essa ha il preciso significato di suggerire quella precauzione climatico-astronomica che doveva necessariamente accompagnare le manipolazioni alchemiche e che differenzia radicalmente l'alchimia dalla chimica che le era contemporanea".

Una tesi, quella di Baldini, a nostro parere molto interessante, e questo anche senza necessariamente condividere la sua convinzione che si tratti proprio delle ossa di Oreste. In effetti, che nel dipinto si possa leggere un riferimento al caput mortuum, risultato dell'Opera al Nero, nonché alle due fasi successive, l'Opera al Bianco o Albedo e l'Opera al Rosso o Rubedo (simboleggiate dal colore delle vesti dei pastori), ci sembra plausibile.

Il motto Et in Arcadia Ego, fatto proprio dalla tradizione ermetica, la connotazione dei due personaggi come pastori e l'ambientazione in Arcadia, non avrebbero dunque altra funzione che quella di fungere da segno di riconoscimento fra "iniziati", destinato a coloro che sono al corrente del fatto che l'Arcadia, in sostanza, non sarebbe altro che una grande copertura per le pratiche ermetico-alchemiche, resasi necessaria in seguito alla Controriforma, che, come abbiamo spiegato in un altro capitolo, avrebbe costretto i cultori dell'ermetismo neoplatonico ad entrare nella clandestinità.