Chiarita
dunque
l'ambiguità
insita
nell'Arcadia
e
nella
figura
dei
"pastori", occupiamoci
ora
del
punto-chiave
della
mia
ricerca:
il
motto.
L'enigmatica
frase Et
In Arcadia Ego
fece
la sua
prima comparsa,
pare,
in
uno
scritto
dell'autore
latino Ausonio, in riferimento alla tomba di Terenzio (si veda
ad
esempio questo
articolo). Si
tratta
però
solo
di
un'ipotesi.
Di
certo,
per
noi,
il
motto
si
trova
per
la
prima
volta
nel quadro omonimo
del Guercino,
Et
In Arcadia Ego
del 1618-21
(riprodotto
qua
sotto), il
cui significato
è stato
molto dibattuto
dalla critica
(cliccando
sull'immagine è
possibile
vederla
ingrandita):
Poco
dopo videro
la luce due
dipinti di Nicolas
Poussin,
l'uno
del 1630,
l'altro
del 1635
circa, intitolati
entrambi Les bergers d'Arcadie (I Pastori di Arcadia)
ed aventi per
soggetto lo
stesso motto,
questa volta
inciso su una
misteriosa tomba,
della quale
si è
discusso fin
troppo senza
arrivare ad
alcuna conclusione
sicura. Se da
una parte appare
banalizzante
l'interpretazione
di chi vuole
vedervi semplicemente
un memento
mori, trascurando
l'imponente
apparato di
simboli ermetici
messo in campo
da Poussin,
dall'altra parte
lascia perplessi
il tentativo
di vedere in
questi dipinti
una specie di
mappa per una
caccia al tesoro
ormai impossibile
(perché
la
tomba di Les
Pontils,
se pure era
quella raffigurata
nel secondo
dipinto, è
stata distrutta
il 9 aprile
1988): è noto
infatti che
la corrente
di pensiero
legata al "mistero"
di Rennes-le-Château
(cioè
al presunto
occultamento da
parte della
Chiesa della
"vera"
identità
storica di Gesù,
al suo matrimonio
con Maria Maddalena
ed alla nascita
di una discendenza
da quel matrimonio)
ritiene che
questa tomba
esistesse davvero
in Provenza e
contenesse i
resti di qualcuno
dei discendenti
di Gesù,
appartenenti
alla dinastia
dei Merovingi,
se non i
resti di Maria
Maddalena stessa
o addirittura
di Gesù.
Per tutta la
faccenda si
veda il noto
saggio Il
santo Graal
(The
Holy Blood and
The Holy Grail
nell'originale
inglese) di Michael
Baigent, Richard
Leigh e Henry
Lincoln, del
1982, cui è
ispirato il
best-seller
Il codice
da Vinci di
Dan Brown (2003).
Ma
la citazione
da parte di
Goethe
di questo motto non
sembra casuale
e
ci riporta ai
dubbi sopra
espressi: pare
infatti che
il grande poeta
tedesco facesse
parte di una
setta nota come
Le Brouillard. Di questa società segreta
(poi nota come Société
Angélique),
dedita al culto
pagano della
"Gaia Scienza", sembra facessero parte numerosi pittori
e scrittori quali
Poussin, Delacroix, Rabelais, Novalis, France, Barres,
Nerval, la Sand e per l'appunto Goethe, che secondo alcuni avrebbe usato il
motto "Auch ich in Arkadien"
quasi a suggellare
la propria appartenenza ad essa. Inoltre lo scrittore
tedesco ha dedicato un intero paragrafo del Viaggio
in Italia alla propria
investitura romana presso l'Accademia d'Arcadia (probabile emanazione
de Le Brouillard) sotto il pomposo soprannome di "Megalio Melpomenio",
a coronamento dell'altro "nomen mysticum" (Abaris) da lui assunto
quale Illuminato di
Baviera: come si vede, la tradizione
di assumere
una seconda
identità
all'interno
dell'Arcadia
è una
costante, di
cui si riparlerà
a proposito
del "Circolo
di Cos"
al quale apparteneva
Teocrito. Essa
si ritrova anche
all'interno
della Massoneria
ed in generale
in tutte le
società
esoteriche,
che prevedono un'iniziazione
che avviene
attraverso una
morte simbolica
ed un'altrettanto
simbolica palingenesi,
cioè
di fatto l'assunzione
di una nuova
personalità
(e di un nuovo
nome).
Si
noti fra l'altro,
nel ritratto
sotto riprodotto,
come il poeta
si sia fatto
effigiare in
una posizione
interpretata
da alcuni come
simbolica ed
iniziatica (per
l'intera questione
si vedano queste
pagine):
egli infatti
si tocca il
ginocchio destro
con la mano
sinistra (gesto
che si ritrova
ad esempio nella
Tempesta
del Giorgione
e che sembrerebbe
alludere al
dextrum genu
o genus,
cioè
in apparenza
"ginocchio
destro",
ma in realtà
"vera stirpe",
con riferimento
ai Merovingi):
Tischbein,
Goethe in the Roman campagna, 1787 Siamo arrivati
al
punto più
scottante
del
discorso,
proprio grazie
alla figura-chiave
di Goethe: come
si è
detto, il poeta
tedesco fa
parte dell'Arcadia
ed anche della
setta degli
Illuminati:
questi ultimi,
come è
noto, sono considerati
attualmente
come la più
potente espressione
della Massoneria,
per essere più
precisi della
cosiddetta "Massoneria
deviata",
dal momento
che gli Illuminati
di Baviera non
sarebbero altro
che una setta
di satanisti
infiltrati nella
Massoneria tradizionale,
i quali avrebbero
progressivamente
preso il controllo
dell'intera
organizzazione
piegandola ai
loro fini: che,
come è
noto, consisterebbero
nella creazione
di un Nuovo
Ordine Mondiale,
totalmente controllato
dalle tredici
famiglie più
ricche e potenti
del mondo.
Che
c'entra l'Arcadia
in tutto questo?
C'entra: perché
in quest'ottica
i pastori
dell'Arcadia, almeno
a partire
dal Seicento,
cesserebbero di simboleggiare
la fuga dell'uomo
"civile"
in una realtà
campestre idealizzata,
per assumere
un significato
simbolico
che con le pecore
ha ben poco
a che fare:
"pastore",
infatti, è
colui che ha
in custodia
il suo gregge,
per cui tale
figura si presta
bene ad un utilizzo
metaforico, come
avviene già
nel caso di
Gesù
Cristo, definito
appunto "il
Buon Pastore".
Assumere la
"maschera"
di pastore d'Arcadia
significherebbe
quindi dichiarare
il proprio status
di iniziato,
ed i pastori
d'Arcadia di
cui pullulano
la pittura e
la letteratura
del Sei-Settecento (ed
anche prima,
se è
da interpretare
in questo senso
la figura del
pastore che
appare in piedi sulla
sinistra nella
Tempesta
del
Giorgione)
sarebbero in
realtà i
custodi di
inquietanti
segreti.
Di qui anche
la pretesa
connessione
dell'Arcadia
con la Massoneria,
che ne costituirebbe
l'evoluzione,
con i "pastori"
che improvvisamente
si trasformano
in "muratori",
cioè
costruttori
e non più
custodi;
il che naturalmente
resta
tutto da dimostrare.
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