Anche
volendo
evitare
di
indulgere
ad
inutili
dietrologie,
questa
serie
di
stranezze
sembrerebbe
voler
richiamare
l'attenzione
proprio
su
quel
punto
della
scritta,
in
particolare
sulla
mancanza
della
E
e
sulla
sillaba
GO
rimanente.
Senza
pretendere
di
cogliere
nel
segno,
facciamo
notare
che,
leggendo la
sillaba iniziale
al contrario
ed unendola
a quella finale
visibile, e
dividendo la
parola Arcadia,
si ottiene:
TEGO
IN ARCA DIA
cioè,
in latino, "Proteggo
in un'arca divina". Non
ci
sembra
plausibile
che,
come
alcuni
pensano,
"Dia"
sia
da
intendere
alla
greca,
come
accusativo
di
Zeus
(=
"proteggo
Dio
in
un'arca"):
non
si
vede
infatti
per
quale
motivo
il
motto
dovrebbe
essere
bilingue,
ed
inoltre
il
riferimento
a
Zeus
mi
pare
in
questo
caso
forzato
e
inopportuno,
a
meno
che,
per
l'appunto, non
lo
si
intenda
genericamente
come
"Dio". Facciamo
notare
anche
che
l'indice
del
pastore
punta
proprio
la
seconda
parte
della
parola,
"DIA". Se
così
fosse,
ci
sarebbe
da
domandarsi:
chi
protegge chi/cosa?
Chi/cosa è
l'arca divina?
Citiamo
ancora,
a
titolo
di
semplice
curiosità,
la
tesi
esposta
per
la
prima
volta
nel
best-seller Il santo Graal di Baigent,
Leigh e Lincoln, e poi variamente ripresa da molti appassionati di occultismo
(è
anche
la
tesi
fatta
propria
da
Dan
Brown
ne
Il
codice
Da
Vinci):
i
tre
studiosi
inglesi
credono che essa contenga un riferimento al fatto che
Gesù Cristo sia sopravvissuto alla crocefissione per morire poi
di morte naturale e venir sepolto da qualche parte nel Sud della Francia, nei
dintorni
di
Rennes-le-Château.
Questa ipotesi ha scatenato nelle campagne circostanti Rennes-le-Château
una caccia al tesoro che ancor oggi è ben lontana dal cessare.
La
scritta
è
stata
da
loro
anagrammata come
I, TEGO ARCANA DEI
cioè,
sempre
in
latino,
"Vattene!
Custodisco i segreti di
Dio".
Curiosa
imprecazione
davvero,
che
non
solo
non
rivela
nulla,
ma
come
nota
divertito
Franco
Baldini,
risulta
"addirittura più
enigmatica della frase da cui è
ricavata - tanto da spingere a chiedersi quale sia l'utilità di
nasconderla in un anagramma".
Richard Andrews e Paul Schellenberger, partendo dai medesimi presupposti,
completano la frase con
il
verbo
sottinteso,
sum,
e
la
anagrammano
in
modo
ancora
diverso:
ARCAM
DEI
TANGO
IESU
cioè
"Io tocco la tomba di Dio Gesù": altra interpretazione
a
dir
poco
azzardata,
dal
momento
che
anagramma
anche
quello
che
non
c'è!
Lo
stesso
Baldini,
tuttavia,
pur
dopo
aver
dichiarato
assurda
l'ipotesi
di
Baigent,
Leigh
e
Lincoln,
indulge
stranamente
ad
un'altra
interpretazione,
se
possibile
ancor
più
astrusa:
quella
proposta
dal
latinista
Vincenzo Franchini, secondo il quale la frase sarebbe l'anagramma perfetto di
ARA IN TEGEA DICO
cioè
"Narro
del
sepolcro
in
Tegea",
con
riferimento
ad
un
brano
di
Erodoto
cui
abbiamo
fatto
cenno
in
un
altro
capitolo.
Ora,
che
l'anagramma
sia
perfetto
è
vero,
ma
è
strano
che
un
latinista
sorvoli
con
tanta
disinvoltura
sul
fatto
che
la
frase
è
completamente
sgrammaticata:
infatti
l'ablativo "ara", da intendere come
complemento di argomento, dovrebbe rigorosamente essere preceduto da de ("de ara"):
Baldini,
pur
di
dare
ragione
a
Franchini,
sostiene
che
"il "de"
- come avveniva quasi sempre in latino - è sottinteso": affermazione
singolare
e
veramente
poco
condivisibile,
a
meno
che
Giulio
Cesare,
con
i
suoi
De
bello
Gallico
e
De
bello
civili,
e
come
lui
praticamente
tutti
gli
autori
latini
classici
e
postclassici,
non
fossero
in
controtendenza
con
le
normali
abitudini
grammaticali
della
lingua
latina.
Strana
tesi,
dunque,
quella
abbracciata
da
Baldini,
il
quale
fa
poi
puntigliosamente
notare
che
"il verbo
"dico" non significa dunque "dedico" - se così fosse richiederebbe
l'accusativo "aram" - bensì è da intendere nel senso
di "narro, racconto". La frase "DICO (DE) ARA IN TEGEA" - tenuto conto
del fatto che il termine "ara" designava comunemente anche il sepolcro
- significa dunque esattamente: "NARRO DEL SEPOLCRO IN TEGEA", concordando
alla perfezione con il brano di Erodoto che abbiamo supposto costituire
il referente letterale del dipinto."
Anche
sul
fatto
che
ara
sia
usato
per
indicare
comunemente
il
sepolcro
ci
sarebbe
da
eccepire:
senza
contare
che,
se
la
frase
significasse
questo,
l'anagramma
risultante
sarebbe
più
astruso
ed
incomprensibile
dell'originale:
precisamente
la
critica
che
Baldini
rivolge
a
Baigent,
Leigh
e
Lincoln,
ma
che
ben
più
a
proposito
dovrebbe
riferire
a
se
stesso.
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