ET IN ARCADIA EGO

 

 

Et In Arcadia Ego: qualunque sia il significato di questo motto (per la questione, tuttora aperta, si veda questa pagina), esso sottende un fenomeno dalle proporzioni eccezionali. Lungi da me il proposito di sondarne in modo completo ed esauriente le profondità, a tratti abissali: lo scopo che mi prefiggo in questo capitolo è piuttosto quello di comprendere quale ne sia l'origine, e se essa vada ricondotta, come alcuni affermano, alla letteratura greca, in particolare a Teocrito, o piuttosto a quella latina, nella fattispecie a Virgilio, che ripropose temi e stilemi degli Idilli teocritei nelle sue Bucoliche.

Di una vera e propria "moda" dell'Arcadia non si può parlare prima del Cinquecento. L'idea di porre degli idealizzati "rustici", come quelli che erano apparsi negli Idilli di Teocrito e nelle Ecloghe virgiliane, nel primitivo distretto greco di Arcadia, era stata lanciata da Lorenzo de' Medici negli anni Sessanta e Settanta del XV secolo; ma il mito dell'Arcadia esplode nella letteratura occidentale un po' più tardi, nel 1504, con il poema pastorale prosimetrico Arcadia di Jacopo Sannazzaro, che narra le vicende di Sincero, un pastore sotto le cui vesti si nasconde il poeta, che a causa di una delusione amorosa e politica evade dalla sua città (Napoli) per vivere in un sogno, un locus amoenus inesistente, appunto un'Arcadia idealizzata popolata da pastori-poeti, proprio come gli Idilli di Teocrito. Ma un incubo spaventoso lo induce a tornare in città, dove viene a sapere della morte della donna amata.

Il poema del Sannazaro ebbe una vasta eco ed influì significativamente sulla letteratura di tutta Europa fino alla metà del XVII secolo. Dall'opera prese il nome anche l'omonima Accademia, costituitasi a Roma alla fine del Seicento (1690).

 

 

Tiziano, Ritratto di Jacopo Sannazaro, 1514-18

 

L'Accademia dell'Arcadia, benché fondata a Roma, ebbe come fulcro la figura della Regina Cristina di Svezia; lo scopo dichiarato dell'Accademia era meramente letterario: essa si prefiggeva di romper guerra alle gonfiezze del secolo, e ritornare la poesia italiana per mezzo della pastorale alle pure e belle sue forme, per dirla con le parole di Gaetano Moroni (Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, Venezia, 1852, Vol. LIV, pag. 7).

Di qui in avanti il termine "Arcadia" verrà inteso, in senso metaforico, come il comune sentire di alcuni poeti che in epoche diverse, anche senza parlare d'Arcadia, esprimono il suo spirito, come William Wordsworth e Giovanni Pascoli: un sentire legato all'emozione, al rimpianto della vita secondo natura, al ricordo, alle simbologie che, da Virgilio ai quadri di Poussin ai paesaggi di Claude Lorrain, conduce al culto dei giardini tipico del Sette-Ottocento, i cui elementi caratteristici e la cui stessa forma, regolare o irregolare, sono addirittura in relazione alla filosofia coeva: il parco paesaggistico ha infatti le sue motivazioni proprio nelle idee di filosofi come Kant e Voltaire e nelle creazioni di artisti quali Constable e Turner: il modo di concepire la natura va dal 'pittoresco naturale' al sublime espressi in filosofia, arte e letteratura. In particolare il parco romantico ha un notevole peso in letteratura, come si nota ad esempio in due opere significative: Julie ou La Nouvelle Héloise (1761) di J.J. Rousseau e Le affinità elettive (1809) di W. Goethe; il quale Goethe, per inciso, pose il motto "Auch ich in Arkadien", traduzione tedesca di Et in Arcadia ego, sul frontespizio del suo famoso saggio Viaggio in Italia pubblicato nel 1816.

Ma siamo proprio sicuri che si tratti solo di questo?

Leggiamo ciò che scrive in proposito Franco Baldini sulla rivista Episteme (ET IN ARCADIA EGO - Semantiche mito-ermetiche in alcuni quadri di Guercino e Poussin):

"Già in Petrarca la poesia pastorale è un contenitore buono a tutte le allegorie - estetiche, morali, gnoseologiche, politiche, ecc. - e con l'Arcadia di Sannazzaro diviene esplicitamente veicolo di iniziatismo: in questo romanzo si tratta sostanzialmente - come nella famosissima, ed ancor oggi altamente enigmatica, Hypnerotomachia Poliphili - di un'allegoria iniziatica imperniata sul tema ermetico della morte e della resurrezione. E così sarà per lungo tempo, attraverso il Marino e fino all'Accademia dell'Arcadia, di fatto nata - con il nome di Accademia di Camera - nel salotto di Cristina di Svezia".

Ma eccoci al punto: proprio la regina di Svezia era, a quanto pare, dedita a pratiche alchemico-occultistiche, alle quali fa espresso riferimento l'abate Francesco Cancellieri, il quale scrive:

"La celebre Cristina Alessandra, Regina di Svezia, dopo di aver rinunciato il Regno, ed abbracciato la Religione Cattolica Romana, nel 1655, scelse per suo soggiorno questa Città, ove si applicò interamente a proteggere le Scienze, le Lettere, e le Belle Arti, fino al 1689, in cui terminò di vivere. Fra le sue occupazioni volle ancora tentare di rinvenire l'Arte cotanto decantata, e non mai trovata di far l'Oro. Onde fatti costruire nella propria abitazione vari Laboratori, invitò i Dilettanti di una tal'Arte, ad andare a fare in essi le loro operazioni, somministrando loro, quanto occorreva per eseguirle."

Com'è noto, "l'arte di far l'Oro" è esattamente l'alchimia.
Questa pseudo-scienza è un'arte essenzialmente ermetica, nel senso letterale del termine: basata cioè, a quanto si dice, sugli insegnamenti di Hermes Trismegisto. Stando a diversi autorevoli interpreti del fenomeno, essa, al contrario di ciò che si pensa, non era indirizzata al mondo materiale, ma a quello mentale-spirituale: non quindi alla trasmutazione di un metallo in un altro più pregiato, ma al passaggio da uno stato imperfetto ad una condizione di raffinamento interiore e di perfezione spirituale tale da poter fare a meno della materia, in linea con quanto affermato nel Poimandres, il trattato che apre il Corpus Hermeticum, leggibile per intero qui.

La leggenda della pietra filosofale, grazie alla quale i metalli vili potevano essere mutati in oro, sarebbe stata perciò semplicemente un'allegoria della filosofia ermetica, e alla fine adombrerebbe la ricerca della vita eterna mediante pratiche chimiche, filosofiche ed occultistiche di vario genere.