L'ARCADIA E IL TEMA BUCOLICO

 

 

Si direbbe insomma che nell'Arcadia del Sannazaro sia insito quel non so che di sinistro, quel germe di morte che vediamo affacciarsi prepotentemente alla ribalta nella pittura del primo Seicento, soprattutto con i tre dipinti del Guercino e di Poussin che hanno come titolo Et in Arcadia Ego e come soggetto principale quella che sembrerebbe essere una meditatio mortis ambientata in Arcadia; tant'è vero che l'"Ego" del motto viene interpretato dai più come "Io, la morte".

"Nonostante ciò - proseguono gli autori del saggio - Sannazzaro esalta la poesia pastorale e avverte di essere stato il primo "a risvegliar le addormentate selve e a mostrare a' pastori di cantare le già dimenticate canzoni" perché ritiene che "le silvestre canzoni vergate ne li ruvidi cortecci del faggio dilettino non meno a chi le legge, che li colti versi scritti ne le rase carte degli indorati libri; e le incerate canne dei pastori porgano per le fiorite valli più piacevole suono, che li tersi e pregiati bossi de’ musici per le pompose camere non fanno"."

Sarà: certo è che la presa di posizione del Sannazaro in favore di una poetica della naturalezza e della semplicità suona fortemente contraddittoria rispetto alla scelta dell'imitazione che egli compie: "l’imitazione delle situazioni, delle immagini, della lingua e dello stile di Teocrito e di Virgilio. Il vagheggiamento dell’Arcadia come luogo dell’amore, della poesia e dell’evasione si accompagna al vagheggiamento delle forme classiche e della letterarietà."

Dai due autori classici Sannazaro desume la descrizione di una natura vista come rifugio dalle avversità, in linea con l'opzione epicurea di Virgilio (cfr. I Ecloga, vv. 49 ss. "Non truovo tra gli affanni altro ricovero / che di sedermi solo appiè d’un acero"), il mito dell’età dell’oro ("non teman de’ lupi / gli agnelli mansueti; / ma torni il mondo a quelle usanze prime", II Ecloga 30-33), il tema dell’amore che da un lato rende "quest’aspra amara vita dolce e cara" (ibid. 77-78) e dall’altro "di ferir non è mai stanco, o sazio / di far de le medolle arida cenere" (I Ecloga 20-21), ma è sempre sentito come un "giogo al collo" (ibid. 68), anche in questo caso in linea con il credo epicureo professato da Virgilio.

 

 

Friedrich August von Kaulbach (1850-1920), Arcadia

 

Assai rilevante è tuttavia il fatto che (come del resto in Teocrito e nel "Circolo di Cos", e più tardi in Virgilio) i pastori dell'Arcadia di Sannazaro non siano di fantasia, ma adombrino personaggi reali: di conseguenza è pienamente possibile parlare, anche per il Sannazaro, di una "maschera bucolica", al di sotto della quale il poeta cela "la società umanistica con le sue aspirazioni di armonia, di pace e di vita ideale, gli ambienti dell’accademia pontiana, gli amici e poeti Cariteo e Pietro Summonte, la moglie morta di Pontano, nonché se stesso nella figura del protagonista Sincero, nome che, come traduzione latina di Nazaro che in ebraico significa 'sincero, incorrotto', fu usato nell’accademia napoletana come soprannome per l’autore".

La novità introdotta dal Sannazaro nella letteratura italiana ebbe vasto seguito: in particolare, "nell’ambito della narrativa del XVI secolo l’influsso dell’evasione idillica e bucolica del Sannazaro si unisce con il filone più avventuroso e romanzesco rappresentato dal Libro del Peregrino del Caviceo (1508) e dall’Istoria di Phileto veronese del Corfino (1520-30), nel generale e costante riferimento all’intera produzione boccacesca. A conferma, inoltre, del particolare gusto cinquecentesco per il romanzo pastorale va ricordata la traduzione che nel 1537 Annibal Caro opera degli Amori pastorali di Dafni e Cloe di Longo Sofista.

Nel 1500 tuttavia i motivi presenti nell’Arcadia del Sannazaro, quali il classicismo e la letterarietà, l’idealizzazione nell’ambiente pastorale del mondo cortigiano, vengono a proiettarsi in nuove forme ricche di possibilità di evoluzione. Inizialmente infatti assumono la veste di ecloghe dialogate con numerosi espedienti musicali, come nel Tirsi di Castiglione (rappresentata ad Urbino nel 1506), ne I due pellegrini di Tansillo (1526), nell’Egle di Giraldi (1545)."

Nasce così un genere nuovo, il dramma pastorale in cinque atti, con un numero ristretto di personaggi e nel pieno rispetto delle tre unità aristoteliche; è l'autore del celebre Pastor Fido, il Guarini, a teorizzare la necessità del rispetto delle tre unità, ma senza dubbio l'apice letterario del genere è costituito dall’Aminta del Tasso. I caratteri del dramma pastorale teorizzati dal Guarini (compresenza di elementi propri della tragedia, della commedia e della lirica petrarchesca) si ritrovano tutti in quest'opera, che pur attraverso numerosissime citazioni, talora testuali talora lievemente modificate, di Virgilio, di Teocrito, di Boccaccio, di Poliziano, riesce profondamente innovativa ed originale nella mirabile sintesi di letterarietà e di naturalezza che riesce a realizzare.