E'
interessante
notare
come
tale
naturalezza
si
ponga
"come
il
riverbero
letterario
dell’ideale
stato
dell’uomo
rappresentato
nell’opera
dall’Arcadia,
che
appare
via
via
come
l’oggettivazione
dell’età
dell’oro,
della
bellezza,
della
giovinezza
e
dello
stato
beato
della
natura,
in
contrapposizione
alla
vita
piena
di
preoccupazioni
e
di
affanni.
Centrale
anche
nell’Aminta
è la
tematica
dell’amore
che
può
portare
il
dolore
e
la
sofferenza
(Aminta
vv.
350
ss.
"il
crudo
amor
di
lacrime
si
pasce,
|
né
se
ne
mostra
mai
satollo"),
la
gioia
(ibid.
946
"ché
sol
amando
uom
sa
che
sia
diletto"),
ma
che
sempre
si
presenta
come
una
forza
naturale
che
ingloba
tutto
l’universo,
che
domina
potentemente
e
inevitabilmente
gli
uomini
che
pur
tentano
di
sottrarglisi
(ibid.
vv.
152
ss.;
cfr.
726-733;
850)."
Anche
nell'Arcadia
del
Tasso,
come
in
quella del
Sannazaro,
permangono
al
di
sotto
della
"maschera"
pastorale
l'allusione
al
mondo
cortigiano
legato
agli
Estensi
e
alla
città
di
Ferrara
(cfr.
vv.
572-575
e
1006
ss.)
ed il
riferimento
autobiografico,
per
cui
Tasso
identifica
se
stesso
e
la
sua
poesia
nel
pastore
Tirsi
(vv.
634-637).
Anche
nel
XVII
secolo
il
motivo
pastorale
persiste,
assumendo
però
forme
diverse:
quelle
della
lirica
nell’Adone
e
nella
Sampogna
del
Marino,
quelle
della
favola
boschereccia
in Donarelli,
Stigliani,
Frugoni
e Chiabrera
e
quelle
delle
rappresentazioni
teatrali
per
la
musica,
quali
l’Euridice,
la
Dafne,
l’Arianna
e
il
Narciso
del
Rinuccini.
Importante
è
notare
come
quest'ultimo
genere
sia
indizio
di
una
decadenza
del
tema
arcadico,
dato
che
esso
riduce
il
tema
pastorale
a
elemento
puramente
esornativo,
azzerandone
la
pregnanza
allegorica.
Giovanni
Mario
Crescimbeni
Ed
eccoci
alla
svolta
cruciale,
che
si
situa
tra
la
fine
del
XVII
e
la
prima
metà
del
XVIII
secolo,
dunque
in
concomitanza
con
la
fondazione
della
sopra
citata
Accademia
d'Arcadia:
qui
assistiamo
ad
un
fenomeno
sorprendente,
ossia
il
rapido
svuotamento
di
significato
e
la
perdita
d'importanza
del
tema
pastorale
proprio
all'interno
del
movimento
che
più
di
ogni
altro
avrebbe
dovuto
promuoverne
la
diffusione.
In
questo
periodo la
poesia
pastorale
subisce
inizialmente
una
nuova
diffusione
ed una
nuova
significazione
nell’ambito
del
movimento
dell’Arcadia
e
in
modo
specifico
da
parte di
Giovanni
Mario
Crescimbeni,
il
principale
teorico
dell'esigenza
di
un
rinnovamento
letterario
e
di
un
ritorno
alla
semplicità
ed
alla
naturalezza
dopo
l’artificiosità
barocca:
egli individua
proprio
nel
ritorno ai
classici
ed
in
particolar
modo
al
filone
pastorale
la
possibilità
di
una
rigenerazione
spirituale
e
intellettuale,
prima
ancora
che
un
mezzo
di ricreazione
estetica
(Istoria
della
vulgar
poesia,
1697;
Bellezza
della
vulgar
poesia,
1730).
Sennonché
tali
esigenze
estetiche
trovano
un'espressione
letteraria
lontanissima
dall'eroicità
e
dalla
tragicità
delle
opere
del
periodo
precedente:
si
pensi
ai
sonetti
petrarcheggianti
e
classicheggianti
di
Zappi
e
Manfredi
ed alle
canzonette
pastorali
di
Zolli,
che
esprimono sentimenti
esili
ed
una
sostanziale
assenza
di
passioni.
Non
mancano prove
arcadiche
sincere,
quali
quelle
del
Rolli,
e
interessante
è anche
l’estensione
del
motivo
pastorale
e
dell'allegoria
religiosa
nelle
opere
del
Bini; ma
prevalgono
nettamente
le
espressioni
poetiche
convenzionali
e
accademiche
"in
cui
i
paesaggi,
i
personaggi,
i
gesti
e
le
situazioni
proprie
del
mondo
e
della
lirica
bucolica
diventano
forme
stereotipate,
vissute
senza
consonanza
e
partecipazione
personali
e
i
modelli,
Anacreonte
e
Teocrito
per
la
prima
metà
del
secolo,
Virgilio
per
la
seconda
metà,
sono
riprodotti
in
modo
pedissequo".
Ed
ecco
la
conclusione
paradossale
alla
quale
facevamo
cenno:
"sostanzialmente
-
conclude
il
saggio
-
si
potrebbe
arrivare
a
dire
che
nella
letteratura
italiana,
a
differenza
di
altre
letterature
europee,
il
tema
pastorale
cessa
con
l’Arcadia,
dopo
aver
fornito
modelli
che
ogni
letteratura
ha
sviluppato
con
apporti
originali."
Del
tutto
irrilevante,
dal
nostro
punto
di
vista,
è
quanto
osservato nel
prosieguo
del
saggio,
e
cioè
che
il
tema
pastorale
continua
ad
influenzare
sottilmente
la
produzione
letteraria
posteriore,
dagli
Idilli
di
Leopardi
alle
Myricae
di
Pascoli
all'Ecloga
di
Montale:
sta
di
fatto
che,
a
questo
punto
(ed
anzi
già
prima)
si
è
definitivamente
compiuto
il
divorzio
tra
il
tema
pastorale
e
l'Arcadia,
ed
il
primo
resta
come
semplice
repertorio
di
tòpoi
e
reminiscenze
letterarie
da
riutilizzare
all'occorrenza, senza
più
alcun
valore allegorico.
Di qui in
avanti il termine "Arcadia"
verrà
inteso, in senso
traslato,
come il
comune sentire
di alcuni poeti
che in epoche
diverse, anche
senza parlare
d'Arcadia, esprimono
il suo spirito,
come William
Wordsworth e
lo stesso Giovanni Pascoli:
un sentire legato
all'emozione,
al rimpianto
della vita secondo natura,
al ricordo,
alle simbologie
che, da Virgilio
ai quadri di
Poussin ai paesaggi
di Claude Lorrain,
conduce al culto
dei giardini
tipico del Sette-Ottocento,
i cui elementi
caratteristici
e la cui stessa
forma, regolare
o irregolare,
sono addirittura
in relazione
alla filosofia
coeva: il parco
paesaggistico
ha infatti le sue
motivazioni
proprio nelle
idee di filosofi
come Kant
e Voltaire e
nelle creazioni
di artisti quali
Constable e
Turner: il modo
di concepire
la natura va
dal 'pittoresco
naturale' al
sublime espressi
in filosofia,
arte e letteratura.
In particolare il
parco romantico
ha un notevole
peso in letteratura,
come si nota
ad esempio in due
opere significative:
Julie ou
La Nouvelle
Héloise
(1761) di J.J.
Rousseau
e Le affinità
elettive
(1809) di W.
Goethe;
il quale Goethe,
per inciso,
pose il
motto "Auch
ich in Arkadien",
traduzione
tedesca
di
Et
in
Arcadia
ego,
sul frontespizio
del suo
famoso saggio
Viaggio
in Italia
pubblicato
nel 1816.
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