L'ARCADIA E IL TEMA BUCOLICO

 

 

6. CHE RAPPORTO C'E' TRA ARCADIA E MASSONERIA?

 

Esiste una connessione fra l'Arcadia e la Massoneria?

Quest'ultima, cruciale domanda ci costringe a fare un passo indietro nel tempo ed a ripercorrere la storia del mito dell'Arcadia, per comprendere quale fisionomia esso abbia assunto nel corso dei secoli.

Di una vera e propria moda (o mania) dell'Arcadia non si può parlare prima del Cinquecento. L'idea di porre degli idealizzati "rustici", come quelli che erano apparsi negli Idilli di Teocrito e nelle Ecloghe virgiliane, nel primitivo distretto greco di Arcadia, era già stata lanciata da Lorenzo de' Medici negli anni Sessanta e Settanta del XV secolo; ma il mito dell'Arcadia esplode nella letteratura occidentale un po' più tardi, nel 1504, con il poema pastorale prosimetrico Arcadia di Jacopo Sannazzaro, che narra le vicende di Sincero, un pastore sotto le cui vesti si nasconde il poeta, che a causa di una delusione amorosa e politica evade dalla sua città (Napoli) per vivere in un sogno, un locus amoenus inesistente, appunto un'Arcadia idealizzata popolata da pastori-poeti, proprio come gli Idilli di Teocrito. Ma un incubo spaventoso lo induce a tornare in città, dove viene a sapere della morte della donna amata.

Il poema del Sannazaro ebbe una vastissima eco ed influì significativamente sulla letteratura di tutta Europa fino alla metà del XVII secolo. Dall'opera prese il nome anche l'omonima Accademia, costituitasi a Roma alla fine del Seicento (1690).

Ora, è interessante notare, sulla scorta di un saggio apparso sulla rivista Zetesis qualche anno fa, come gli sviluppi del genere bucolico non coincidano affatto con quelli dell'Arcadia: vediamo perché, ripercorrendone brevemente gli sviluppi in Italia.

 

 

Tiziano, Ritratto di Jacopo Sannazaro, 1514-18

 

A. ARCADIA E TEMA BUCOLICO

Anzitutto gli autori del saggio fanno notare che "se il genere letterario bucolico nasce dalla "stretta correlazione fra determinati temi (ad esempio, la vita campestre, il locus amoenus, ecc.) e specifiche scelte formali (ad esempio, uso di una forma metrica come l’ecloga e di un certo registro linguistico medio)" (A. Marchesi, Dizionario di retorica e stilistica, Mondadori, Milano 1978, p. 113), non si può certo affermare che all’interno della letteratura italiana esista un vero e proprio genere bucolico e pastorale, a meno di non considerarlo tanto poco rigido nella sua codificazione interna da accogliere, accanto a mutazioni di forma, anche mutazioni di significato e di rapporti con la realtà esterna. Infatti, a prescindere dalla prima produzione espressamente bucolica di Dante, Petrarca e Boccaccio e dell’esperienza poetica dell’Arcadia nel ’700, il riferimento al mondo pastorale, le tematiche e i toni bucolici hanno preso corpo via via in forme differenti quali il romanzo e il dramma.

Dante, Petrarca e Boccaccio composero, infatti, ecloghe secondo il modello virgiliano innestando nelle ambientazioni pastorali e nelle vicende dei personaggi riferimenti alla propria attività poetica (Dante nella I ecloga affronta il tema della scelta per il volgare nella Divina Commedia), alla vita privata (Petrarca esprime nei componimenti bucolici la medesima perplessità tra vita religiosa e desiderio di gloria mondana che si ritrova sia nel Canzoniere sia nelle opere latine) e alle vicende storiche contemporanee (Petrarca fa riferimento alle stragi della peste, al suo abbandono dei Colonna, alla morte di Roberto d’Angiò, alla vicenda di Cola di Rienzo, alla guerra anglo-francese). All'imitazione contenutistica del modello si accompagna una fedele riproduzione formale. Tuttavia Boccaccio nel Ninfale d’Ameto e nel Ninfale fiesolano inserisce gli ambienti boschivi, i pastori, le ninfe e le pene d’amore, proprie del genere pastorale, nella struttura del romanzo, costituendo cosi il paradigma per lo sviluppo di tale genere nell’ambito della letteratura italiana."

Ed è appunto il precedente del Boccaccio, con il processo di contaminazione dei generi da lui compiuto nel Ninfale d’Ameto, ad influenzare Jacopo Sannazzaro, "che, aderendo alla tendenza all’idillio e all’evasione propria dell’Umanesimo e al gusto pastorale particolarmente diffusosi nell’ambiente napoletano, inserisce le dodici ecloghe scritte in precedenza in una struttura di dodici prose che dà unità e coerenza narrativa ai singoli componimenti lirici, ma che fa scadere la forma dell’ecloga a puro ornamento e a genere sussidiario.

Accanto all’influsso boccaccesco è presente anche l’influenza dei romanzi ellenistici di Achille Tazio e di Longo Sofista che, caratterizzati da vicende d’amore contrastate e costellate di peripezie, terminano costantemente con il lieto fine. Rispetto a tale caratteristica Sannazzaro opera un’innovazione rilevante e significativa facendo concludere la vicenda del protagonista, Sincero, con la morte dell’amata. Questo fatto, unitamente al ritorno sconsolato a Napoli (da cui il personaggio era partito alla ricerca di un luogo di sogno, di pace e di poesia nel quale lenire le pene d’amore), segnala la vanità dell’evasione e della fuga nell’Arcadia, indicata da tutta la letteratura precedente e seguente come il locus amoenus."