Come abbiamo visto, da Platone in poi l'amore è collegato alla bellezza, unendo il piano estetico con quello morale e, soprattutto, il mondo sensibile con quello trascendente.
Il denominatore comune a queste diverse accezioni è l'associazione dell'amore con l'unione, fisica o spirituale, intesa, in Platone, nel neoplatonismo e poi nel romanticismo, anche come superamento della particolarità e ricongiungimento con il divino o con l'assoluto.
A questi significati, che riguardano l'ambito cosmico come forza vitale e quello individuale come legame affettivo, si aggiunge a partire dal Seicento quello di passione, di impulso inconscio, significato che andrà definendosi nell'Ottocento fino a diventare centrale con Freud.
A partire da Hume e con sempre maggiore importanza, infine, l'amore è stato considerato un impulso naturale che spinge gli uomini ad associarsi con i propri simili e dunque come il fondamento della società. Questa accezione verrà sviluppata da Rousseau e poi dal romanticismo, costituendo una importante componente della nozione di “popolo”, inteso come comunità legata da vincoli non solo contrattualistici, ma storici, culturali e affettivi.
Ma
seguiamo gli
sviluppi del
concetto di
eros per tappe,
cominciando
dal periodo
post-rinascimentale.
Nel Seicento le passioni perdono la connotazione negativa loro attribuita dalla tradizione classica e poi da quella cristiano-medievale per assumere quella di cause del comportamento, indipendenti dalla volontà individuale e quindi analizzabili in modo scientifico. L'etica prescrittiva, sostenuta da Platone, da Aristotele e dal cristianesimo, intesa come determinazione del bene da cui derivano norme per il comportamento, lascia il posto a quella descrittiva, indirizzata a spiegare il comportamento senza indicazioni normative, ma individuandone le cause oggettive. Un
tipico rappresentante
di questa corrente
di pensiero
è Thomas
Hobbes.
Consideriamo
come egli analizza le passioni e quindi anche l'amore
(Elementi di legge naturale e politica, parte I, VII, parr. 1-2, Firenze, La Nuova Italia, 1989, pp. 49-50.):
"Nell'ottava sezione del secondo capitolo si mostra come i concetti o apparimenti non siano nulla di reale, se non moto in qualche sostanza interna del capo; e poiché tale moto non si ferma lì, ma prosegue fino al cuore, necessariamente esso deve, o assecondarvi o contrastarvi quel movimento che si chiama vitale; quando lo asseconda è detto piacere, contentezza o diletto, che non è nulla di reale se non moto intorno al cuore, così come il concetto non è altro che moto all'interno del capo; e gli oggetti che lo causano sono chiamati piacevoli o dilettevoli, o con qualche nome equivalente; i latini avevano il termine jucunda, o juvando, dal verbo aiutare; e il medesimo piacere riferito all'oggetto, si chiama amore: ma quando tale moto indebolisce o contrasta il moto vitale, allora si chiama dolore; e in relazione a ciò che lo causa, odio, che i latini esprimono, talvolta con odium, talvolta con taedium. Questo movimento, in cui consiste il piacere o il dolore, è anche una sollecitazione o provocazione, o ad avvicinarsi alla cosa che piace, o a ritrarsi dalla cosa che dispiace. E questa sollecitazione è il conato o inizio interno del moto animale, che quando l'oggetto piace, si chiama appetito; quando dispiace, si chiama avversione, se riferito ad una ripugnanza presente; ma riferito ad una ripugnanza attesa, si dice timore. Cosicché piacere, amore e appetito, che si chiama anche desiderio, sono diversi nomi per diverse considerazioni della medesima cosa."
John Michael Wright
(1617–1694), Ritratto
di
Thomas
Hobbes,
data
ignota |
Le passioni vengono intese come moto di sostanze interne al corpo e ricondotte all'istinto fondamentale di conservazione di sé. Ciò che lo favorisce viene detto istinto e in riferimento all'oggetto che lo provoca si prova amore. L'analisi delle passioni è meccanica, ricondotta interamente a cause efficienti, e in essa non ha spazio la “volontà”.
In
definitiva,
per Hobbes,
ciò
che definiamo
"amore"
non è
altro che istinto
di conservazione.
Non molto distante da quella di Hobbes è la posizione di Descartes,
o Cartesio
che dir si voglia, in merito alle passioni, nonostante la profonda differenza tra i due filosofi sulle questioni di fondo. Anche per Cartesio tutte le passioni possono essere ricondotte al principio della conservazione del proprio essere e dedotte da quelle originarie, sei in tutto:
la meraviglia,
l'amore, l'odio,
il desiderio,
la gioia e la
tristezza.
Scuola
francese,
Ritratto
di
René
Descartes
(Cartesio),
tra
il
1596
e
il
1650 |
Leggiamo
un brano di
Cartesio tratto
da Le passioni dell'anima (II, 53, 56, 57, 61, in Opere, Roma-Bari, Laterza, 1967, vol. II, pp. 436-39):
"Osservo inoltre che gli oggetti che muovono i sensi non eccitano in noi passioni diverse in ragione di tutte le loro differenze, ma solo in ragione dei vari modi in cui possono nuocerci o giovarci, o, in genere, assumere per noi importanza; e la funzione di tutte le passioni consiste solo nel disporre l'anima a voler ciò che la natura ci indica come utile, e a perseverare in questa volontà, così come l'agitazione stessa degli spiriti che è solita causarle dispone il corpo ai movimenti che servono a eseguir tali cose: perciò, per individuare le passioni, basta solo esaminare ordinatamente in quante diverse maniere per noi interessanti, i nostri sensi possono essere mossi dai loro oggetti; e farò qui l'enumerazione di tutte le principali passioni secondo l'ordine in cui si possono trovare in tal modo. [...] La meraviglia. Quando, vedendo un oggetto per la prima volta ne siamo sorpresi, e lo giudichiamo nuovo, o molto diverso da quanto conoscevamo in precedenza, o da quel che supponevamo dovesse essere, allora ce ne meravigliamo e ne siamo stupiti; e poiché ciò può accadere prima che ci rendiamo menomamente conto se l'oggetto ci conviene o no, la meraviglia mi sembra la prima di tutte le passioni [...].
L'amore e l'odio. Ora, tutte le passioni possono essere eccitate in noi senza che in alcun modo ci rendiamo conto se l'oggetto da cui sono prodotte è buono o cattivo. Ma quando una cosa ci è rappresentata come buona nei nostri riguardi, ossia come a noi conveniente, ne deriva amore per essa; e quando ci è rappresentata come cattiva o nociva, questo ci eccita all'odio. Il desiderio. Dalla stessa considerazione del bene e del male nascono tutte le altre passioni; ma, per indicarle in ordine, mi servirò di distinzioni temporali; e tenendo conto che esse ci portano a guardare molto di più all'avvenire che non al presente o al passato, comincio col desiderio. Perché, non solo quando si desidera conquistare un bene che non si possiede ancora, o evitare un male che si ritiene possa accadere, ma anche quando si desidera solo la conservazione di un bene o l'assenza di un male - ed in ciò consiste tutto l'ambito di questa passione - è evidente che essa guarda sempre al futuro. [...] La gioia e la tristezza. La considerazione del bene presente suscita in noi la gioia, quella del male la tristezza, quando si tratta di un bene o di un male che ci è rappresentato come nostro."
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