I VOLTI DELL'AMORE: GIORDANO BRUNO

 

 

Giordano Bruno, nel suo De gli Eroici furori, riprende la teoria dell'eros come impulso ad elevarsi moralmente e intellettualmente, superando il mondo della quotidianità e del senso comune:


"Non è furor d'atra bile che fuor di conseglio, raggione ed atti di prudenza lo faccia vagare guidato dal caso e rapito dalla disordinata tempesta [...]. Ma è un calor acceso dal sole intelligenziale ne l'anima e impeto divino che gl'impronta l'ali; onde più e più avvicinandosi al sole intelligenziale, rigettando la ruggine de le umane cure, dovien un oro probato e puro, ha sentimento della divina ed interna armonia, concorda gli suoi pensieri e gesti con la simmetria della legge insita in tutte le cose."

(De gli eroici furori, parte I, Dialogo terzo, in Dialoghi italiani, Firenze, Sansoni, 1958, p. 592).

 

Ettore Ferrari, Monumento a Giordano Bruno

in Campo de' fiori a Roma (1889);

sorge nel punto in cui il filosofo fu arso vivo il 17 febbraio 1600

 

La funzione dell'eros, gli “eroici furori” che spingono l'individuo a dimenticare se stesso per ricongiungersi con il tutto, viene esemplificata da Bruno mediante il racconto del mito di Atteone, il cacciatore che, inseguendo un cervo insieme ai propri cani, sorprende la dea Diana mentre sta immergendosi, nuda, nelle acque di un fiume. La contemplazione della divina bellezza lo fa uscire dal suo stesso essere e i cani, simbolo dei suoi pensieri, lo sbranano, liberandolo dalla prigione del corpo in modo da poter contemplare la verità:

"Tansillo: Sai bene che l'intelletto apprende le cose intelligibilmente, idest secondo il suo modo; e la voluntà perseguita le cose naturalmente, cioè secondo la raggione con la quale sono in sé. Cossì Atteone con que' pensieri, quei cani che cercavano estra di sé il bene, la sapienza, la beltade, la fiera boscareccia, ed in quel modo che giunse alla presenza di quella, rapito fuor di sé da tanta bellezza, dovenne preda, veddesi convertito in quel che cercava; e s'accorse che de gli suoi cani, de gli suoi pensieri egli medesimo venea ad essere la bramata preda, perché già avendola contratta in sé, non era necessario di cercare fuor di sé la divinità.

Cicada:     Però ben si dice il regno de Dio esser in noi, e la divinitade abitar in noi per forza del riformato intelletto e voluntade."

(De gli eroici furori, parte I, Dialogo quarto, in Dialoghi italiani, Firenze, Sansoni, 1958, p. 1008). 

 

Grazie ai furori eroici, l'uomo si identifica con Dio, partecipando all'opera della creazione:

 

"E (Giove) soggiunse che gli dei aveano donato a l'uomo l'intelletto e le mani, e l'avevano fatto simile a loro, donandogli facultà sopra gli altri animali; la qual consiste non solo in poter operare secondo la natura ed ordinario ma, ed oltre, fuor le leggi di quella; acciò, formando o possendo formar altre nature, altri corsi, altri ordini con l'ingegno, con quella libertade, senza la quale non arrebe detta similitudine, venesse ad serbarsi dio de la terra."

(Spaccio de la bestia trionfante, Dialogo terzo, in Dialoghi italiani, Firenze, Sansoni, 1958, pp. 732-33).