L'amore che porta al mondo delle idee diventa nel neoplatonismo (Plotino), e di qui nel cristianesimo, l'amore come unione mistica con Dio. In questa direzione, sia nel neoplatonismo rinascimentale che nel romanticismo, l'amore è stato inteso come la forza che consente il superamento dell'individualità per ricongiungersi con il tutto, inteso come Natura o come Assoluto.
Il motivo dell'amore come impulso che spinge l'uomo a superare i propri limiti e la propria individualità per nobilitarsi è particolarmente importante in ambito umanistico-rinascimentale. Nella filosofia rinascimentale, in gran parte di ispirazione neoplatonica, l'eros spinge l'uomo a superare i propri limiti, fino a divenire simile a Dio, a “indiarsi”, come dice Marsilio
Ficino, o a identificarsi con Dio inteso come razionalità della natura, mens insita omnibus, come suggerisce Giordano
Bruno. Marsilio Ficino, cui si deve la prima traduzione integrale in latino delle opere di Platone, considera come è noto l'anima, e quindi l'uomo, come copula mundi, punto di unione dell'universo, congiunzione della materia e dello spirito, di Dio e del mondo. Grazie alla presenza in sé di questo principio divino l'uomo, in virtù della tensione amorosa che è appunto unione e congiunzione, può farsi Dio.
Il vero amore, per
Marsilio
(come
del
resto
per
Platone)
è
rigorosamente
omosessuale. Col nome di
amor
socraticus o verus amor ("vero amore"), infatti, Ficino intendeva,
coerentemente
con i presupposti
platonici, un modello d'amore profondo ed altamente spiritualizzato
fra
due uomini, legati da vincoli di comune amore per il sapere.
Secondo quanto
affermato dall'autore nel Commentarium in Platonis convivium
questo amore è acceso, seguendo la formulazione di Platone, dalla
visione della bellezza dell'anima dell'altro individuo, bellezza che è
specchio della Beltà di Dio.
Ficino riafferma
il concetto
platonico che le donne sono
inadatte a causare questo tipo di trasporto e
più indicate a stimolare al coito per la riproduzione della specie. Non
esiste la possibilità
di pervenire
alla Venere
Urania per
loro tramite:
l'eros eterosessuale
è inevitabilmente
viziato dall'attrazione
sessuale e porta
quindi verso
il basso, verso
la Venere
Pandemia.
Leonardo
da
Vinci,
Marsilio
Ficino,
circa
1490
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E'
dunque esclusivamente
attraverso la bellezza fisica di un giovane uomo
che il
saggio risale alla Bellezza che fu Idea (in senso platonico) di quella
bellezza, cioè a Dio stesso. Contemplare la
bellezza (fisica e spirituale) di un giovane attraverso l'amore,
dunque, è un modo per contemplare almeno un frammento della Bellezza di
Dio, modello d'ogni bellezza terrena. Questo ideale amoroso fu praticato da Ficino con il giovane e bellissimo Giovanni Cavalcanti (1444?-1509), di cui egli fece il personaggio principale del suo commento del Convivio, e a cui scrisse ardenti lettere d'amore in latino (pubblicate nel 1492 fra le sue Epistulæ);
ma Giovanni rispose sempre, a
detta dello stesso Ficino, in modo freddo
e distaccato, avanzando
pesanti
riserve sul
suo
amor socraticus. Resta
il fatto che
la concezione
dell'amore platonico-ficiniana,
come pure la
sua traduzione
del Corpus
Hermeticum, ebbero un
enorme
impatto
sulla cultura
della Firenze
dell'epoca:
senza di esse
non si spiegano
alcuni importantissimi
fenomeni artistici
e culturali
del Quattro-Cinquecento,
come ad esempio
la Primavera
di
Botticelli
e l'Hypnoerotomachia
Polyphili,
romanzo allegorico
attribuito ad
un tal Francesco
Colonna e pubblicato a
Venezia nel
1499, diventato
poi la "Bibbia"
di alcune sette
segrete, fra
cui "Le
Brouillard"
(alla quale
aderì
François
Poussin). In
generale tutta
la tradizione
ermetica posteriore
al Quattrocento
gli è
debitrice,
e questo fa
di lui una figura
di primissimo
piano della
cultura occidentale.
Leggiamo
un brano tratto
dalla sua Teologia platonica, XIV, I (vol. II, Bologna, Zanichelli, 1965, vol. II, pp. 203-5pp. 203-5):
"Quindi, come esposi nel mio libro Sull'Amore, lo splendore del sommo bene stesso rifulge nelle singole cose e, là dove più perfettamente rifulge, ivi soprattutto stimola chi vede quella cosa, eccita chi la considera, trascina e occupa tutto chi vi si avvicina, costringendolo a venerare uno splendore di tal genere più di ogni altro, come si venera una divinità, ed infine a non tendere a null'altro se non a che, deposta la precedente natura, egli stesso si trasformi in splendore. E ciò risulta chiaramente dal fatto che non è mai contento un uomo alla vista o al contatto con l'uomo amato e spesso esclama: «Quest'uomo ha qualche cosa in sé che mi brucia, mentre io non capisco che cosa io stesso desideri!». Ove risulta chiaro che l'animo è acceso da quel divino fulgore che risplende nell'uomo bello come in uno specchio, e che per ignote vie catturato ne viene come da un amo trasportato in alto fino ad indiarsi. Ma Dio sarebbe, per così dire, un tiranno iniquo se ci spingesse a tentare di raggiungere cose che noi non potessimo mai ottenere. Per cui si deve dire che ci spinge appunto a cercare lui nell'atto in cui infiamma il desiderio umano con le sue faville. Ma sarebbe anche un inetto saettatore troppo temerario se dirigesse i nostri desideri come saette verso di sé come loro bersaglio e non avesse aggiunto alle saette le penne in virtù delle quali esse potessero essere in grado di raggiungere il loro bersaglio. E sarebbe infine sfortunato se lo sforzo con il quale ci trascina verso di sé non potesse mai conseguire il suo fine. Per la qual cosa il nostro animo può ad un determinato momento indiarsi, dato che per natura a ciò tende sotto lo stimolo diretto di Dio. Ma non si india se non assumendo la forma di Dio, come nulla si infuoca se non accoglie la forma appunto del fuoco."
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