Scritta
negli anni sessanta,
Supplica
a mia madre
di Pier Paolo
Pasolini
è una
toccante lirica
inclusa
nel libro in
versi Poesia
in forma di
rosa,
pubblicato nel
1964.
Il ricorso ad
un linguaggio discorsivo,
quotidiano,
quasi prosaico,
tipico di questo
testo poetico,
ha un significato
diametralmente
opposto a quello
usuale: il
linguaggio quotidiano
infatti aiuta
gli uomini a scambiarsi
dati, nozioni,
informazioni,
opinioni, ma
al contempo
li costringe
a sperimentare
una sorta d’alienazione,
di incomunicabilità.
Pur impegnati
nel dialogo,
essi restano
dei perfetti
estranei a se
stessi ed agli
altri.
La
poesia è uno
strumento del
linguaggio nato
proprio per
superare questa
estraneità
tra gli esseri,
per consentire
agli uomini di
comunicare i
loro affetti
e per uscire
da una sorte
di carcere esistenziale.
Da
questa prospettiva Supplica
a mia madre
è una
poesia esemplare,
perché
in un tono dimesso
e prosaico il
poeta confessa
subito il suo
intento di rivelare
quel che di
segreto, di
nascosto si
cela nel suo
cuore, dire quel
ch’è
orrendo conoscere,
quello che appunto
nella conversazione
quotidiana non
si potrebbe
mai dire.
Questa
esigenza della
confessione
in Pasolini
non nasce da
un bisogno di
perdono, di
assoluzione
del peccato,
bensì
da un sentimento
d'amore. Non
ci si può
nascondere dinnanzi
all’essere che
si ama e dal
quale si è
riamati. L’amore
comporta un
rapporto di
vicinanza, di
confidenza che
esclude l’alienazione,
l’incomunicabilità, il
sentimento di
estraneità.
Qual
è dunque
il segreto che
Pasolini nella
Supplica
rivela alla
madre e, pubblicando
la poesia, a
noi lettori?
L’omosessualità, un
complesso edipico
non risolto,
la pratica della
promiscuità
sessuale (l’amore
dei corpi senz’anima), l’amore
della purezza
assoluta (l’amore
dell’anima,
della grazia,
rappresentata
dalla madre)?
Tutto
questo insieme
ed anche altro,
ma soprattutto
il disperato
bisogno di
avere accanto sua
madre: è
irrilevante
quale ne
sia la ragione,
se sia "patologica"
o meno; il vero
male, incurabile,
è il male
di vivere, di
fronte al quale
ogni considerazione
di "sanità"
o "diversità"
diventa risibile.
La
sola cosa che
importa
è che
ci sia ancora
"un futuro
aprile",
una nuova primavera,
per poter rinascere
accanto a lei,
solo con
lei.
Pasolini,
nella Supplica,
con il bisturi
della poesia
apre il suo
cuore agli uomini,
mostrandone
la complessità
e la vulnerabilità,
confessando
le implicazioni
psicologiche
di una forte
dipendenza,
la schiavitù
dell’amore materno
e quel che essa
comporta: lo
scandalo, la dannazione,
la solitudine
della sua condizione
esistenziale.
Proprio
questa
poesia è
stata scelta
dal regista
Marco Tullio Giordana come
omaggio alla
coraggiosa madre
di Peppino
Impastato nel
film I
cento passi
del
2000, un
capolavoro del
nostro cinema.
La poesia è
letta da
Peppino stesso
(interpretato
da Luigi Lo
Cascio) a sua
madre (Lucia
Sardo) all'interno
del garage in
cui il ragazzo
è costretto
a nascondersi.
Riporto di seguito
la scena, visibile
anche qui: