La
velocità
di pensiero e la
memoria di von
Neumann divennero
ben presto tanto
leggendarie che
anche Hans Bethe
(premio Nobel per
la fisica nel 1967)
finì per chiedersi se esse
non fossero la prova
di appartenenza
ad una specie
superiore, che
sapeva però
imitare bene gli
umani. In realtà,
il sospetto di un'origine
marziana era esteso
non solo a von Neumann,
ma a tutto il resto
della banda dei
figli della mezzanotte,
i coetanei scienziati
ebrei ungheresi
emigrati. Quando
un giorno Enrico
Fermi, una delle
figure più
importanti all'interno
del grande progetto,
manifestò
un certo scetticismo
sull'esistenza di
una civiltà
aliena superiore
che non fornisse
nessun segno della
propria esistenza,
sembra che Szilard
gli abbia risposto
"probabilmente
sono già
qua, e li stai chiamando
ungheresi".
E
lì, in mezzo
ai massimi scienziati
mondiali e agli
alieni,
John von Neumann
era considerato
un alieno,
uno
di un altro pianeta,
un semidio dei numeri.
A Los Alamos
si raccontava che
quando c'era da
fare un calcolo
complesso nascesse
una sfida a tre
tra Feynman, che
armeggiava con il
suo calcolatore
meccanico, Fermi,
che scarabocchiava
su un pezzetto di
carta, e von Neumann
che faceva affidamento
solo sulla sua mente
(lo stesso aneddoto
si riporta anche
a proposito di un
altro genio matematico,
Ettore Majorana).
Quella
mente straordinaria
gli ha permesso
di apportare contributi
significativi, e
talora assolutamente
nuovi, praticamente
in ogni campo della
ricerca, tanto
che sarebbe vano
elencarli qui: egli
lasciò traccia
di sé in
àmbiti che
vanno dalla matematica
alla meccanica statistica,
dalla meccanica
quantistica alla
cibernetica, dall'economia
all'evoluzione biologica,
dalla teoria dei
giochi all'intelligenza
artificiale. E,
naturalmente, alla
bomba atomica.
Ma
Johnny, come lo
chiamavano i suoi
colleghi americani,
era anche un grande
amante della vita,
e accanto alla personalità
cinica, spietata
e geniale, conviveva
apparentemente senza
contraddizione alcuna,
l'altro volto dello
scienziato ungherese,
quello affabile,
mai presuntuoso,
simpatico, goliardico
e pure donnaiolo.
I suoi party erano
famosi, numerosi
e piuttosto lunghi
e, da bravo padrone
di casa, egli sapeva intrattenere
amabilmente gli
ospiti con un repertorio
vastissimo di barzellette
e storielle, naturalmente
in molte lingue.
Il 1944 è
per von Neumann
un anno di svolta:
non solo, come s'è
detto, pubblica
la sua "teoria
dei giochi",
ma viene anche a conoscenza
da un suo collega,
Herman Goldstine,
impegnato
nel Progetto Manhattan,
dei tentativi effettuati
presso il laboratorio
balistico di costruire
una macchina capace
di trecento operazioni
al secondo.
John
von Neumann e l'EDVAC
Johnny,
l'alieno, rimane
profondamente colpito
da questa cosa e
dentro alla sua
mente si aprono
come per magia nuovi
e affascinanti scenari.
Il
primo incontro con
un calcolatore risale
a poco tempo dopo,
con la macchina
Harvard Mark I (ASCC)
di Howard Aiken,
costruita in collaborazione
con l'IBM; poi conosce
ENIAC (Electronic
Numerical Integrator
And Computer), un
ammasso enorme di
valvole, condensatori
e interruttori da
trenta tonnellate
di peso, costruita
da Presper Eckert
e John Mauchly.
Questo
mastodonte è
utile per eseguire
calcoli balistici,
meteorologici o
sulle reazioni nucleari,
ma è fondamentalmente
una macchina molto
limitata, quasi
del tutto priva
di memoria e di
un briciolo di elasticità;
in altre parole,
una macchina stupida.
Per migliorare un
simile marchingegno
c'e bisogno di quell'intuizione
che una decina d'anni
prima aveva avuto
Alan Turing nel suo articolo
sui numeri computabili,
e cioè permettere
al computer di modificare
il proprio comportamento,
o, in altre parole,
imparare un software.
Nel 1945 nasce così
l'EDVAC (Electronic Discrete
Variables Automatic
Computer), la prima macchina
digitale programmabile
tramite un software:
è nata "l'architettura
di von Neumann".
Naturalmente il
merito dell'invenzione,
come il nome dell'architettura
fa pensare, va tutto
allo scienziato
ungherese, mentre
passano in subordine
Turing (autore dell'idea),
Eckert e Mauchly
(che l'avevano realizzata).
Ma
gli anni della guerra
vedono von Neumann soprattutto
profondamente
coinvolto
nel progetto Manhattan
per la costruzione
della bomba atomica;
è un coinvolgimento
alimentato da un
profondo odio verso
i nazisti, i giapponesi
e successivamente
verso i sovietici.
Già nel 1937,
dopo aver ottenuto
la cittadinanza
statunitense, gli
viene proposto di
collaborare con
le forze armate,
e da quel momento
la sua escalation
ai vertici delle
istituzioni politico-militari
non conoscerà
più soste.
E
qui la sua personalità
incomincia a rivelare
risvolti veramente
inquietanti:
von Neumann è
preso da una sorta
di frenesia di morte,
una smania, una
vera e propria sbornia
di carneficina,
che è difficile
spiegare alla luce
delle sole convinzioni
politiche; come
nella storia dell'apprendista
stregone di Goethe,
von Neumann mette
in moto meccanismi
di spaventosa portata,
gioca con le potenze
della Natura, in
un certo senso si
crede Dio, si sostituisce
a Lui anche in veste
di giustiziere.
Un vero e proprio
delirio di onnipotenza.
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