TRE ESTETI SUI GENERIS: PETRONIO, NERONE, TRIMALCIONE

 

 

Nonostante le incertezze legate alla sua malsicura identità, è molto probabile che il Petronio autore del Satyricon sia da identificare con quel vero e proprio prototipo del dandy che viene descritto da Tacito in Annales XVI 18-19 e che nel 66 d.C. fu tra le ultime vittime della repressione della "congiura dei Pisoni":

 

De C. Petronio pauca supra repetenda sunt. Nam illi dies per somnum, nox officiis et oblectamentis vitae transigebatur; utque alios industria, ita hunc ignavia ad famam protulerat, habebaturque non ganeo et profligator, ut plerique sua haurientium, sed erudito luxu. Ac dicta factaque eius quanto solutiora et quandam sui neglegentiam praeferentia, tanto gratius in speciem simplicitatis accipiebantur. Proconsul tamen Bithyniae et mox consul vigentem se ac parem negotiis ostendit. Dein, revolutus ad vitia seu vitiorum imitatione, inter paucos familiarium Neroni adsumptus est, elegantiae arbiter, dum nihil amoenum et molle adfluentia putat, nisi quod ei Petronius adprobavisset. Unde invidia Tigellini quasi adversus aemulum et scientia voluptatum potiorem. Ergo crudelitatem principis, cui ceterae libidines cedebant, adgreditur, amicitiam Scaevini Petronio obiectans, corrupto ad indicium servo ademptaque defensione et maiore parte familiae in vincla rapta.

Forte illis diebus Campaniam petiverat Caesar, et Cumas usque progressus Petronius illic attinebatur; nec tulit ultra timoris aut spei moras. Neque tamen praeceps vitam expulit, sed incisas venas, ut libitum, obligatas aperire rursum et adloqui amicos, non per seria aut quibus gloriam constantiae peteret. Audiebatque referentis nihil de immortalitate animae et sapientium placitis, sed levia carmina et facilis versus. Servorum alios largitione, quosdam verberibus adfecit. Iniit epulas, somno indulsit, ut quamquam coacta mors fortuitae similis esset. Ne codicillis quidem, quod plerique pereuntium, Neronem aut Tigellinum aut quem alium potentium adulatus est, sed flagitia principis sub nominibus exoletorum feminarumque et novitatem cuiusque stupri perscripsit atque obsignata misit Neroni. Fregitque anulum ne mox usui esset ad facienda pericula. 

Incisione con un ritratto idealizzato di Petronio

Di Petronio comincerò più da lontano. Durante il giorno dormiva e attendeva di notte alle necessità e ai piaceri della vita. Come ad altri la loro operosità, così la sua indolenza gli aveva procurato grande rinomanza: ma non era ritenuto un crapulone e un dissipato, come la maggior parte di quelli che dànno fondo alle proprie fortune, bensì un voluttuoso raffinato, e quanto più negli atti e nelle parole si dimostrava libero da pregiudizi e noncurante, tanto più quella sua semplicità era accolta con simpatia. Tuttavia, come proconsole in Bitinia, e poi come console, aveva dato prova di energia e di competenza. Quindi, rituffatosi in una vita che era o voleva apparire viziosa, fu accolto tra i pochi intimi del principe e alla corte di Nerone divenne l'arbitro del buon gusto, il fine intenditore di quello che fosse, in mezzo a tanta ricchezza, bello e raffinato. Di qui l'odio di Tigellino, che vide in lui un rivale e quasi un maestro più esperto nella scienza dei piaceri. Egli eccita nel principe la crudeltà, passione che era in lui più forte di ogni altra, accusando Petronio di essere amico di Scevino. Fu corrotto uno schiavo perché presentasse la denuncia: non gli è data possibilità di difesa; i suoi servi sono tratti in catene.

In quei giorni l'imperatore si era recato in Campania e Petronio, che l'aveva accompagnato fino a Cuma, ricevette colà l'ordine di fermarsi. Egli non tollerò gli indugi del timore e della speranza, né volle una morte troppo precipitosa. Si incise le vene; poi le legò e di nuovo le riaperse; conversò con gli amici, ma non di cose gravi o tali che gli procurassero fama di fermezza: né stette ad ascoltare ragionamenti sull'immortalità dell'anima o massime filosofiche, ma poesie leggere e versi scherzosi. Alcuni servi premiò, altri fece frustare. Volle banchettare e dormire, perché la morte, quantunque imposta, apparisse casuale. Non adulò nei suoi codicilli Nerone o Tigellino o qualche altro personaggio potente, come erano soliti fare per lo più i condannati a morte; ma, citando il nome di amasii e di prostitute, egli raccontò tutte le vergogne del principe e l'aberrazione delle sue libidini e, dopo avere sigillato, mandò lo scritto all'imperatore. Ruppe poi l'anello, perché non fosse causa di rovina ad altri.

(Traduzione di A. Resta Barrile)

 

Strana, affascinante, contraddittoria figura, quella descritta da Tacito: il ritratto di un uomo che, sotto la maschera della dissolutezza e dell'estetismo, nasconde una forza d'animo quasi disumana e, si direbbe, una sensibilità etica di prim'ordine, che lo porta (forse) a congiurare contro la tirannide neroniana e che riesce difficilissimo associare alla figura dell'esteta: sulla scorta delle indicazioni di Kierkegaard, infatti, la dimensione etica e quella estetica dovrebbero escludersi a vicenda.