DORIAN COME "SUPERUOMO"?

 

 

Così Gabriele d'Annunzio descrive Andrea Sperelli, il protagonista de Il piacere: "Egli era per così dire tutto impregnato d’arte, […] poté compiere la sua straordinaria educazione estetica sotto la cura paterna, […]. Dal padre appunto ebbe il culto delle cose d’arte, il culto spassionato della bellezza, il paradossale disprezzo de’ pregiudizi, l’avidità del piacere. […] Fin dal principio egli fu prodigo di sé; poiché la grande forza sensitiva, ond’egli era dotato, non si stancava mai di fornire tesori alle sue prodigalità. Ma l’espansione di quella forza era in lui la distruzione di un’altra forza, della forza morale che il padre stesso non aveva ritegno a reprimere. [...] Il padre gli aveva dato, tra le altre, questa massima fondamentale: bisogna fare la propria vita come un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uomo d’intelletto sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui”.

E' evidente in queste parole la consonanza spirituale tra D'Annunzio e Wilde; e Dorian a mio parere è la migliore personificazione del concetto basilare del Decadentismo, "fare della propria vita un'opera d'arte": egli consegna al ritratto tutto ciò che vi è in lui di antiestetico, antiartistico e ripugnante per potersi permettere di vivere una vita completamente all'insegna del Bello, al riparo dagli inconvenienti che affliggono l'esistenza di un comune essere umano (a cominciare dall'invecchiamento).

 

Gabriele D'Annunzio

Vi sono in lui, in sommo grado, tutti i tratti distintivi dell'esteta - come nel Barone Des Esseintes di Joris Karl Huysmans o in Andrea Sperelli o nella stessa personalità di Huysmans, D'Annunzio e Wilde -, che Dorian in parte possiede per natura, in parte assorbe da Lord Henry, in parte matura grazie al suo percorso di degradazione morale. E già parlare di degradazione non è corretto in questa prospettiva, giacché il principale tratto distintivo dell'esteta decadente è appunto la volontà di scavalcare tutte le convenzioni etiche della gente comune, di condurre una vita "al di là del bene e del male".

E' opinione concorde della critica che tutto questo abbia le sue radici nel "superomismo" di Friedrich Nietzsche, o meglio nell'interpretazione corrente di questo concetto; proprio Al di là del bene e del male s'intitola un suo celebre saggio del 1886, nel quale il filosofo attacca la mancanza di senso critico dei pensatori a lui contemporanei e la loro passiva accettazione della morale.

Vediamo se, ed in quale misura, il giudizio possa essere condiviso.