LUCIANO, "ALESSANDRO O IL FALSO PROFETA"

 

 

Una rabbiosa intenzione satirica trapela da ogni riga di quest'opera, come pure dall'ancor più celebre Morte di Peregrino Proteo (Περὶ τῆς Περεγρίνου τελευτῆς), leggibile per intero qui nella traduzione di Settembrini, aspra lettera di denuncia scritta attorno al 170, nella quale Luciano stronca senza riserve la figura di questo pseudo-martire che si diede fuoco durante le Olimpiadi del 167 di fronte alla folla allibita, della quale faceva parte lo stesso Luciano.

Sennonché, mentre Luciano vede in Alessandro un gran bell'esemplare di ciarlatano, non privo di risvolti comici e surreali, in Peregrino vede invece il campione del trasformismo dottrinale ed il prototipo del fanatico religioso: Peregrino era stato cristiano, quindi si era "scristianizzato", era diventato un filosofo cinico, aveva insultato Antonino Pio (uno dei migliori imperatori che la storia romana ricordi) e criticato aspramente Erode Attico (esponente della Seconda Sofistica e noto filantropo), ed infine per protesta, e per dimostrare il proprio disprezzo per la morte, si era ucciso gettandosi nel fuoco, insomma aveva commesso una serie di atti apparentemente inconsulti ed incomprensibili alla luce del razionalismo lucianeo, ma tutti estremamente gravi, tanto da impedire a Luciano di assumere nei suoi confronti un atteggiamento ironico e distaccato: prevale e predomina uno sdegno allarmato che è segno della serietà con cui l'autore affronta il problema del dilagare del fanatismo religioso.

 

 

Una vignetta contro il fanatismo religioso, in cui forse Luciano si sarebbe riconossciuto

 

Ciò che infatti è considerato da Luciano estremamente allarmante non è il fatto in sé che Peregrino si sia suicidato spettacolarmente, ma il fatto, ben più grave, che il suo assurdo gesto abbia fatto proseliti: infatti, come ci informa l'autore stesso, il "santone" non solo aveva gabbato una miriade di persone da vivo (primi fra tutti i Cristiani, dipinti da Luciano come dei terribili sempliciotti), ma si era guadagnato una folla di fanatici ammiratori anche dopo la sua morte. A Luciano pare che la società del suo tempo sia vittima di una sorta di allucinazione collettiva, alla quale egli dapprima reagisce con un vivissimo sdegno, infine si rassegna, accontentandosi di metterla in ridicolo.

Da questo punto di vista la distanza tra Luciano ed il suo contemporaneo Apuleio, come lui fra i massimi esponenti della Seconda Sofistica, non potrebbe essere più abissale: Apuleio infatti appare totalmente immerso nel clima irrazionalistico della sua epoca, di cui è un rappresentante tipico, tanto che finirà per diventare sacerdote di Iside e per morire in odore di santità, considerato un guaritore e un taumaturgo; un discorso analogo vale per molti altri rappresentanti della Seconda Sofistica, primo fra tutti Elio Aristìde, neurolabile, misticheggiante e superstizioso, fanatico adepto del culto di Asclepio; al contrario Luciano è radicalmente in antitesi con tutte le tendenze più caratteristiche del II secolo d.C., nel quale sembra veramente essere nato "per sbaglio", risultando da tutti i punti di vista, nonostante il suo enorme successo, un disadattato.