IL CONCETTO DI δαίμων

 

 

Marco Aurelio, pur essendo un esponente di spicco della Terza Stoà, ha una concezione del dèmone che si discosta alquanto da quella stoica: il δαίμων per lui è l'anima intellettiva, che bisogna evitare di turbare con impressioni di origine sensibile: «inoltre rimane la cura di non insozzare il dèmone che ha preso dimora nel nostro petto, la cura di non turbarlo con impressioni confuse e molteplici; di mantenerlo sereno e benigno, tributandogli rituale e onore come a un Dio; e non dire nulla che sia contrario al vero; non far nulla contro giustizia» (Marco Aurelio, A se stesso III, 16).

All'incirca nello stesso periodo di Marco Aurelio (II secolo d.C.), sulla scia del De genio Socratis di Plutarco, Apuleio pubblicò nel De deo Socratis la sua teoria sul δαίμων.

Egli parte dal presupposto che gli dei della religione ufficiale sono troppo lontani dagli uomini per occuparsi veramente di loro; l'uomo perciò resta solo di fronte all'ignoto e non può portare davanti agli dei le sue preoccupazioni e le sue pene. A questo punto intervengono i δαίμονες, concepiti da lui in modo positivo, come forze benigne, modelli archetipici di quelli che saranno gli angeli nel Cristianesimo: messaggeri, portatori delle preghiere degli uomini, intermediari e ambasciatori tra il cielo e la terra.

Ogni individuo ha il suo proprio δαίμων, termine che Apuleio traduce con la parola latina genius: una sorta di anticipazione dell'angelo custode. Nella concezione latina era proprio il genius a rendere genialis, e se una persona riusciva a coltivarlo durante la sua vita, lo stesso, dopo la morte, si evolveva in una forma più nobile chiamata Lare, divinità domestica, benefica e protettrice. In caso contrario, esso diventava una Larva o spirito malvagio. Apuleio afferma che certe personalità eccezionali, come Socrate o Esculapio, raffinarono il proprio δαίμων al punto che esso finì per diventare una parte autonoma e visibile di loro stessi, acquistando dopo la loro morte i caratteri di una divinità locale o collettiva.

Il neoplatonismo, del quale Apuleio è esponente precoce, si pone sulle sue stesse posizioni, ma non sempre ne deduce le stesse indicazioni di comportamento: Plotino ad esempio (III secolo d.C.) fa coincidere angeli e dèmoni, considerandoli entrambi portatori di rivelazioni, guide delle anime preesistenti nel viaggio verso l’incarnazione sulla terra, partecipi della creazione, ma ritiene il loro culto indegno del filosofo, il cui sguardo dev'essere rivolto a cose spirituali di gran lunga superiori ed il cui scopo fondamentale, la visione mistica, è in totale contraddizione con la volgarità e la grossolanità delle pratiche magiche atte ad evocare i δαίμονες (si veda ad esempio John M. Rist, Eros e Psyche, Vita e Pensiero, Milano 1995).

Apuleio