IL CONCETTO DI δαίμων

 

 

Proprio alla concezione positiva del δαίμων espressa da Apuleio e dai neoplatonici si oppone fermamente Sant'Agostino, che, pur stimando sia Platone che Apuleio, ritiene che essi siano gravemente in errore nella concezione dei demoni. Come abbiamo visto, infatti, i demoni erano ritenuti da Platone e dai neoplatonici intermediari benevoli, ed in una scala di prestigio si trovano sotto Dio ma sopra gli uomini. Agostino, nel De civitate dei (VIII, 14 segg. e IX passim) parte proprio dalla confutazione di questa concezione per arrivare alla sua definizione dei demoni, decisamente negativa: è da questo momento in avanti che i dèmoni diventano demòni, potenze maligne dell'occulto con le quali è possibile, anche a parere di Agostino, mettersi in contatto, ma soltanto per ricavarne del male.

 

Benozzo Gozzoli, Agostino che legge San Paolo, 1463

(affresco della chiesa di Sant'Agostino a San Gimignano)

Ecco i passi fondamentali in cui Agostino spiega il suo pensiero:

14.1. "Si dà, dicono i platonici, una tripartizione di tutti i viventi che hanno l'anima ragionevole, cioè in dèi, uomini e demoni. Gli dèi occupano la sfera più alta, gli uomini la più bassa, i demoni quella di mezzo. Infatti la sede degli dèi è nel cielo, degli uomini in terra, dei demoni nell'aria. Come hanno una differente dignità della sfera, così anche dell'essere. Perciò gli dèi sono superiori ai demoni e agli uomini, gli uomini sono posti sotto agli dèi e ai demoni tanto nel grado degli elementi come per differenza di perfezioni. Quindi i demoni sono al mezzo, e come sono da considerare inferiori agli dèi perché hanno dimora al di sotto di essi, così sono da considerare superiori agli uomini perché hanno dimora al di sopra. Hanno infatti comune con gli dèi l'immortalità del corpo e con gli uomini le passioni dello spirito. Quindi non c'è da meravigliarsi, dicono, se godono dell'oscenità degli spettacoli e delle favole dei poeti, perché sono soggetti alle inclinazioni umane, mentre gli dèi ne sono ben lontani e immuni in tutti i sensi. Se ne conclude che Platone, riprovando e proibendo le favole poetiche, non privò del piacere degli spettacoli teatrali gli dèi, che sono tutti buoni ed eccelsi, ma i demoni."

Ma Agostino corregge Platone, affermando che non è certo l'occupare un posto più alto che rende migliori. Infatti:

17.1. "Rimane dunque che i demoni, come pure gli uomini, sono soggetti alla passione perché sono viventi non felici ma infelici. 17.2. Per quale dissennatezza dunque, o piuttosto forsennatezza, dovremmo renderci schiavi mediante una religione ai demoni, quando mediante la vera religione siamo liberati dall'imperfezione in cui siamo loro simili? I demoni infatti sono mossi all'ira [...]: a noi invece la vera religione comanda di non essere dominati dall'ira, ma piuttosto di resisterle. Mentre i demoni sono blanditi dai doni, a noi la vera religione comanda di non favorire alcuno dietro accettazione di doni. Mentre i demoni sono allettati dagli onori, a noi la vera religione comanda di non lasciarci in alcuna maniera attirare da essi [...].

Quale motivo c'è dunque, se non una insipienza ed errore miserevole, di renderti schiavo col culto a uno da cui desideri esser diverso nella condotta e di adorare con la religione uno che ti rifiuti d'imitare, quando l'essenza stessa della religione è imitare l'essere che adori?"