Su richiesta
dell'amico Tacito,
che evidentemente
intendeva servirsene
nelle sue Historiae,
Plinio il Giovane
scrive un resoconto
sulla tremenda eruzione
del Vesuvio del
79 d.C., nella quale
suo zio Plinio il
Vecchio aveva trovato
la morte.
Plinio
a Tacito. Mi
chiedi i dettagli
relativi alla fine
di mio zio, per
poterne tramandare
più fedelmente
il racconto alla
posterità.
Te ne ringrazio,
nella certezza che,
celebrata da te,
la sua morte è
destinata a gloria
immortale. Benché
infatti egli sia
deceduto nel disastro
che ha colpito le
più incantevoli
terre, come predestinato,
in quanto vittima
di una catastrofe
memorabile, a vivere
per l'eternità
insieme a quei popoli
e a quelle città,
e benché
egli stesso abbia
composto una lunga
serie di opere destinate
a durare nel tempo,
non di meno l'immortalità
dei tuoi scritti
contribuirà
solidamente alla
perennità
del suo nome. Beati
gli uomini ai quali
gli dei hanno concesso
il privilegio di
fare cose degne
di essere scritte
o di scrivere cose
degne di essere
lette! Più
beati ancora quelli
a cui entrambi questi
doni furono concessi!
Mio zio sarà
tra questi in grazia
dei suoi libri e
dei tuoi. Tanto
più volentieri,
dunque, mi assumo
il compito che tu
mi affidi, anzi
lo reclamo.
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Era
a Miseno e comandava
direttamente la
flotta. Il 24 di
agosto, verso l'una
pomeridiana, mia
madre lo avverte
che spuntava una
nube di grandezza
e forme inusitate.
Dopo un bagno di
sole e uno freddo,
si era sdraiato
sul suo letto da
lavoro dove aveva
consumato uno spuntino
ed era intento allo
studio; allora domanda
i sandali e sale
in una località
che permetteva la
vista più
agevole del prodigio.
Si stava alzando
una nube, ma senza
che a così
grande distanza
si potesse distinguere
l'esatta provenienza
(si chiarì
poi che usciva dal
Vesuvio), e nessun'altra
pianta meglio del
pino potrebbe riprodurne
l'aspetto e la forma.
Salendo infatti
verso il cielo come
sorretta da un immenso
tronco, si allargava
poi in qualcosa
di simile a dei
rami, forse perché
la potenza del turbine
che dapprima l'aveva
sollevata si andava
spegnendo: priva
di sostegno, dunque,
o forse anche vinta
dal suo stesso peso,
la nube si spandeva
in larghezza, talora
candida, talora
sporca e chiazzata
a seconda che fosse
carica di terra
o di cenere. L'importanza
del fenomeno non
sfuggì a
mio zio, il quale,
nel suo zelo per
la scienza, volle
esaminarlo più
da vicino. Si fece
preparare una liburnica
e mi diede anche
la possibilità
di seguirlo, se
avessi voluto, ma
gli risposi che
preferivo studiare:
infatti proprio
lui mi aveva assegnato
un lavoro scritto. Stava giusto uscendo
di casa, quando
gli viene recapitata
una missiva con
la quale Rettina,
moglie di Casco,
terrorizzata dal
pericolo incombente
(infatti la sua
villa sorgeva proprio
ai piedi del Vesuvio
e la zona non permetteva
scampo se non per
mare), lo pregava
di salvarla da una
posizione molto
critica.
Egli cambia
allora programma
e affronta per magnanimità
l'impresa che aveva
iniziato per semplice
curiosità
scientifica.
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Così,
stando ad una
stampa di Charlotte
Mary Yonge (1880), si presentava
il Vesuvio prima
dell'eruzione del
79 d.C.
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