Al pendolo
di Foucault
è dedicato,
come si è
detto, il
secondo romanzo
di Umberto Eco,
pubblicato nel
1988 e variamente
giudicato dalla
critica e dal
pubblico: mentre
infatti il precedente
Il nome
della rosa,
del 1980, aveva riscosso
un unanime
successo, in
questo caso
i pareri si
dividono profondamente:
c'è chi
parla senza
mezzi termini
di un romanzo
freddo, cerebrale
o addirittura
cervellotico,
un puro sfoggio
esibizionistico
di sapere occulto,
al limite dell'illeggibile,
e chi invece
di un capolavoro,
un impareggiabile
divertissement
intellettuale.
Si
veda ad esempio
questo entusiastico
giudizio tratto
da Italialibri:
"Leggendo
il Pendolo di
Foucault vi
si troverà
molto più
di ciò
che è
possibile raccontare.
Vi si troveranno
molti riferimenti
e richiami che
ciascuno saprà
cogliere secondo
la propria formazione
e secondo la
propria esperienza
(Dante, Poe,
Hammett, Joyce...)
e soprattutto
ci si divertirà,
perché
questo è
davvero un libro,
ancorché
ponderoso, da
divorare tutto
d’un fiato,
dalla prima
all’ultima pagina.
C’è un
difetto? Certo.
Qualcuno ha
scritto che
gli manca la
leggerezza.
Assenza inevitabile
e connaturata
alla potenza
delle suggestioni
che emanano
dal testo, potenza
grave (mai greve),
come talvolta
deve essere
l’Arte. Si consiglia
di cercare la
leggerezza in
Calvino o in
Kundera. Ma
se si desidera
immergervi in
qualche ora
di puro godimento
intellettuale,
di divertimento
intelligente,
assorbente e
coinvolgente
come solo pochi
scrittori al
mondo sanno
offrire,
allora il Pendolo
di Foucault
del professor
Eco Umberto
da Alessandria
fa per voi."
Umberto
Eco
Non
sono mancati
i critici che,
come Ranieri
Polese (Padri
(e padrini)
di Dan Brown, Corriere
della Sera del
12 dicembre
2004) hanno
visto nel bestseller
Il codice
da Vinci di
Dan Brown
la versione
divulgativa del romanzo
di Eco. A questo
riguardo, in
un'intervista,
Eco stesso afferma: «Sono
stato costretto
a leggerlo,
perché
tutti mi facevano
domande in proposito.
Le rispondo
che Dan Brown
è uno
dei personaggi
del mio romanzo
Il pendolo di
Foucault,
in cui si parla
di gente che
incomincia a
credere nel
ciarpame occultista.
[...] Nel
Pendolo di
Foucault ho
rappresentato
quel tipo di
persone in maniera
grottesca.
Ecco perché
Dan Brown è
una delle mie
creature»
(intervista
di Deborah Solomon,
La Repubblica,
25 novembre
2007).
Giudizio,
come si vede,
estremamente
dispregiativo,
che fra l'altro
ci fa comprendere
chiaramente quale
sia la posizione
di Umberto Eco
rispetto alla
teoria
del complotto:
semplicemente,
non ci crede
affatto.
Comunque
stiano le cose,
si tratta di
un'opera estremamente
interessante
dal mio punto
di vista, appunto
perché
è completamente
imperniata sulla
teoria del complotto,
che sta alla
base, fra l'altro, della
cosiddetta "tuning
conspiracy".
Come
afferma giustamente
il recensore
di Italialibri,
"riassumere
la trama de
Il pendolo di
Foucault è
come voler compendiare
il senso dell’universo
in uno o due
lepidi aforismi
da cioccolatino.
Il Pendolo
non ha una trama,
non ha un tempo
e non ha un’azione.
E’ la storia
di alcuni redattori
milanesi, tra
gli anni 70
e 80, e del
loro sgangherato
cotè
lavorativo.
Ma è
anche la storia
di una colossale
mistificazione
che, ordita
con avventata
leggerezza,
si trasforma
in un inquietante
scenario con
un epilogo da
grandguignol.
Ed è
anche la storia
di una sola
notte di tregenda:
quella del 23
giugno 1984
e di una terribile
soluzione finale.
E infine la
storia di un’altra
notte: quella
del 27 giugno
1984, nella
vecchia casa
di campagna
di uno dei protagonisti,
dove tutto viene
raccontato,
dove tutto sembra
finito e dove
tutto deve (forse)
ancora misteriosamente
e ancora minacciosamente
cominciare."
Detto
così,
si
coglie bene la
suggestione
del romanzo,
ma non si riesce
a capire nulla
della trama:
proverò
ad esporla in
modo più
semplice, sulla
falsariga di
un
altro sito.
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