I protagonisti
sono tre,
Jacopo Belbo,
Casaubon e Diotallevi,
tutti redattori editoriali
della Garamond,
finanziata da
un istituto
di psicologia.
La funzione
di narratore
è affidata
a Casaubon,
che quindi racconta
in prima persona
(narrazione
omodiegetica
a focalizzazione
interna).
I
tre amici sono da
tempo alla ricerca
di quel "cammino
abbreviato" di
cui parlava
Rudolf Steiner,
pur essendo
profondamente
diversi l'uno
dall'altro:
Jacopo Belbo
è uno
“spettatore
intelligente”
e pessimista
dal sarcasmo
melanconico;
Casaubon,
il narratore, si laurea
in filosofia
benché
sia definito
“barbaro” dai
compagni per
la sua incredulità;
Diotallevi,
devoto lui sì
alla Qabbalah,
ma sostanzialmente
ateo, è
di un'indulgenza
intellettuale
che può
apparire persino
offensiva.
Casaubon,
Belbo e Diotallevi,
per puro gioco,
si inventano un
Piano-Complotto
consistente
in una ricerca
cabalistica
incentrata sulle
dieci Sephirôt
dell'"albero
della vita"
qabbalistico, con
lo scopo di
far credere
che esse si
manifestino
nei modi e nei
tempi più
diversi e sorprendenti,
quasi che le
fantasie degli
gnostici del
II secolo dopo
Cristo o la
storia dei Templari,
quella dei Rosacroce
o quella di
qualsiasi gruppo
esoterico abbia
operato sulla
terra, non fossero
altro che diverse
epifanie delle
Idee divine.
Paradossalmente,
la stessa
sgangheratezza del
piano contribuisce
a renderlo verosimile
all'avido Agliè,
in cerca di
uno scopo verso
cui indirizzare
la società
segreta paramassonica
che capeggia.
L'albero
della vita con
le dieci Sephirôt
Ne
segue una serie
intricatissima
di vicende,
che coinvolge
"una sterminata serie di personaggi, di storie, di miti, di
leggende, provenienti da tutto il sapere storico, tutto il sapere
cosmico e tutto il sapere ermetico: dai Templari, ai Rosacroce, dai
Miti Celtici, ai Culti dell’antico Egitto, dal Santo Graal , ai Vangeli
Apocrifi, da Napoleone a Hitler, a Cagliostro".
Il
finale sarà
tragico:
la notte di
San Giovanni
tra il 23 e
il 24 giugno
1984, Jacopo
Belbo finirà
vittima del
suo stesso gioco,
impiccato al
pendolo di Foucault
del Conservatoire des Arts et Métiers,
divenuto lui
stesso pendolo,
in una
memorabile scena
che riporto
per intero qui.
Per
quanto riguarda
il narratore
Casaubon, il
finale resta
"aperto":
si intuisce
che anche per
lui è
in agguato una
fine terribile
da parte della
setta paramassonica,
ma proprio con i suoi
sinistri presagi,
i suoi ricordi
e le sue amare
considerazioni
si chiude il
romanzo.
Il sincretismo
è tipico
dei cabalisti
e in genere
degli iniziati,
ma Eco non fa
che metterlo
in ridicolo,
così
come la pretesa
d'interpretare
ogni simbolo
come fosse un’illuminazione
in miniatura.
«Il problema
- dice a un
certo punto
Casaubon - non
è trovare
relazioni occulte
fra Debussy
e i Templari.
Lo fanno tutti.
Il problema
è trovare
relazioni occulte,
per esempio,
tra la Cabbala
e le candele
dell’automobile.»
Sempre per una
sorta di sfida
intellettuale
e ironica, Belbo
farà
corrispondere
infatti alle
dieci Sephirôt
le dieci articolazioni
dell’automobile
che compongono
l’albero-motore
(l’Amore, ad
esempio, sarà
la frizione
e la Giustizia
diventerà
il cambio…).
Il
senso complessivo
dell'opera,
che esprime
uno scetticismo
assoluto, esattamente
agli antipodi
de Il
codice da Vinci
di Dan
Brown, si
può sintetizzare
in questa frase
tratta dal romanzo:
"il
vero iniziato
è colui
che sa che il
più potente
dei segreti
è un
segreto senza
contenuto".
Riporto
di seguito due
scene del romanzo:
quella, già
citata e bellissima,
della morte
di Belbo,
e la parte
del finale
in cui Casaubon
medita sull'insensatezza
delle teorie
occultistiche
e complottiste.
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