E proprio
nell'autunno del 1830 comincia il sodalizio con Ranieri. I due si erano
incontrati tre anni prima, ma di sfuggita.
Questa
amicizia,
che
Giacomo
esalta
con
toni
incredibilmente
appassionati,
è
stato
molto
idealizzata;
è per
questo
che
la
lettura
del piccolo libro del Ranieri Sette anni di sodalizio con Giacomo
Leopardi (Se edizioni) suscita una profonda delusione.
Questo libriccino fu pubblicato la prima volta nel 1880. Ranieri era allora un avvovato settantaquattrenne deputato e socio
corrispondente della Crusca. La sua fama era cresciuta di pari passo con
quella del grande poeta e pensatore, essendo stato considerato per anni
il suo benefattore, protettore e angelo custode. Ma allorché furono
pubblicate le lettere che Leopardi spedì negli ultimi anni da Napoli, il
Ranieri vi trovò una terribile smentita di tutto quello
che
aveva
sempre
sostenuto
a
proposito
di
quell'amicizia:
in
quelle
lettere
lui
stesso
e tutto il mondo napoletano venivano
posti sotto una diversa
luce, decisamente negativa. Ad esempio in una lettera a Monaldo Leopardi - il
padre -, spedita da Napoli il 3 Febbraio del 1835, si legge: "Ora il mio principale pensiero è di disporre le cose in modo,
ch'io possa sradicarmi di qua al più presto; ed Ella viva sicura che
quanto prima mi sarà umanamente possibile, io partirò per Recanati,
essendo nel fondo dell'anima impazientissimo di rivederla, oltre il
bisogno che ho di fuggire da questi Lazzaroni e Pulcinelli nobili e
peblei, tutti ladri e b. f. (bifolchi?) degnissimi di
Spagnuoli e di forche" (opere complete
Sansoni pag. 1405).
Lettere del genere fecero
sicuramente arrabbiare non poco il Ranieri. Per dirla col linguaggio
secco di Indro Montanelli: "Le lettere degli ultimi anni da Napoli erano
piene di taglienti critiche ai napoletani e allo stesso Ranieri che
appariva in tutt'altra luce: fatuo, vanitoso, incapace di affetti
profondi. Ranieri, che aveva quasi ottant'anni, rispose infuriato con un
libro di memorie sul loro sodalizio, da cui vien fuori un Leopardi
odioso: querulo, esigente, ipocrita, ingrato e maligno" (Indro
Montanelli - Storia d'Italia - 1789 , 1831, vol 4, pag. 386 - RCS).
Come
al solito, Montanelli nelle quindici pagine dedicate al
poeta recanatese riesce a dirci l'essenziale di una vita. Nel
suo
libro il Ranieri, oltre a presentare sotto cattiva
luce il povero Giacomo, non perdeva occasione di tessere le lodi della
sorella Paolina, così caritatevole e così altruista, né si risparmiava in
autoincensamenti: sacrifici economici non indifferenti, abnegazione,
assistenza continua, e via discorrendo.
Giocomo
Leopardi
Tuttavia non
si
riesce
ad essere
troppo
severi
con Ranieri, che,
a
parte
il
fatto
di avere
reagito ad
una
provocazione
postuma,
alla fin
fine s'è preso
cura per sette anni di un rudere umano: perché tale era il
grande poeta quando Ranieri da Firenze prima lo portò con sé a Roma e da
lì a Napoli e dintorni. Quindi, se da un lato è giusto prestare
attenzione
alla ultime lettere che il Leopardi spedì da Napoli, per
meglio conoscere il suo punto di vista su quella gente e quei luoghi, è
altrettanto giusto leggere attentamente le numerosissime brevi lettere
che il poeta indirizzò al Ranieri.
Renato Minore, nel suo Leopardi - l'infanzia, le città, gli amori (Bompiani), così descrive l'inizio del loro
sodalizio: "Giacomo era stato
coinvolto dall'interessamento spontaneo (e magari esagerato) di Ranieri
alla sua vita e alle sue sventure. Lo aveva colpito la sua sensibilità
generosamente profusa nei confronti di un poeta sofferente, sfortunato,
disgraziato, in lotta con il mondo che lo tollerava senza
comprenderlo… Ranieri, dal canto suo, era molto attratto da esso, per
ragioni culturali e affettive… Una molla fu determinante per Giacomo.
Superati i trent'anni e in modo tanto sofferto e disperato, sentiva
prepotente il desiderio di vivere identificato in una forte esperienza
affettiva diversa da quelle stabilite fino a quel momento con altre
persone… Con Ranieri era tutto diverso. Giacomo si sentiva protetto e,
insieme, lo proteggeva" (pagg. 115, 116 - op. cit.).
Da non trascurare però
le pessime condizioni economiche in cui si venne a trovare il Leopardi a
Firenze nel '32. Basta leggere le lettere che Giacomo, dalla città
toscana, spediva a suo padre. Ma già nella lettera del 17 Marzo '32, da
Roma, rappresentava la sua condizione come disperata: "Caro Papà…oggi
parto per Firenze. Torno a raccomandarmi a Lei, trovandomi propriamente
con l'acqua alla gola… tutti sanno che io non ho nulla" (op.cit.
pag. 1379). Nella lettera che scrive al padre il 3/7/'32 da Firenze,
dopo aver ricordato al conte Monaldo gli sforzi che ha dovuto sostenere
per portare a termine il lavoro con lo Stella ed i mali fisici che ne
sono derivati (non era più in grado di leggere, scrivere e pensare),
dopo avergli relazionato sulla improduttività del suo lavoro filologico
spedito in mezza Europa (anziché denari ne riceveva articoli di
giornali, biografie e traduzioni), chiede "un piccolo assegnamento di
dodici scudi al mese". Il 24 Luglio sollecita la somma. Nella
lettera del 13 Settembre del '32 parla di cambiali, di richiesta di
garanzie per prestiti, di richiesta di denari. Nella lettera del 17
Novembre parla ancora di cambiali e di prestiti. In pari data scrive
alla madre (che a quel tempo amministrava il patrimonio di famiglia come
un sergente di ferro) e parla ancora di ristrettezze economiche.
Antonio
Ranieri
da
adulto
Come è facile vedere Leopardi
non riusciva a mantenersi. Quei pochi soldi che aveva gli servivano per
lo più per curarsi. Gli stenti e le sofferenze aggravavano sempre più le
sue già precarie condizioni di salute. Vista dunque in questa
prospettiva, la proposta del Ranieri di vivere insieme (lui avrebbe
pensato a sostentarlo) fu vista come una zattera di salvataggio lanciata
ad un naufrago. E le molte brevi lettere che da Firenze spediva ad
Antonio Ranieri devono essere interpretate come il segno di un immenso
riconoscimento di generosità verso l'amico.
Leopardi si
rivolge in
questi
termini all'amico,
concludendo la lettera del 24/11/'32: "Amami, anima mia, e
non iscordarti, non iscordarti di me. Addio, infinite volte addio"
(id. pag. 1393). Un'espressione di affetto così calda
da
avere
perfino
suscitato
in
alcuni
il
dubbio
di
una
relazione
omosessuale
tra
i
due;
o
meglio,
di
una
vera
e
propria
infatuazione
di
Giacomo
per
il
bellissimo
Antonio.
In
effetti
la
ricostruzione
dei
fatti
di
Giovanni
dall'Orto
è
alquanto
diversa
da
quella
tradizionale,
fino
a
ribaltare
completamente
l'ottica
del
rapporto.
Seguiamone
i
passaggi
principali.
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