CONCLUSIONI: L'AMORE COME FORZA UNIFICANTE

 

 

La conclusione cui perviene Marcuse sottolinea un aspetto dell'amore che, come abbiamo visto, è stato messo in luce da molti filosofi: l'eros inteso come forza che spinge l'individuo verso gli altri, sia a livello individuale che sociale.
Già nel Simposio platonico il "mito dell'androgino", narrato da Aristofane, sottolinea in particolare il primo aspetto:


XIV. Comunque, caro Erissimaco, disse Aristofane, io mi propongo di parlare in modo diverso da te e da Pausania. Io penso che gli uomini non abbian sentito né punto né poco la potenza di Eros, perché, se la sentissero, gli dedicherebbero i maggiori templi ed altari e gli offrirebbero i maggiori sacrifizi, cosa che ora non fanno per nulla, mentre è ciò che si dovrebbe fare a preferenza di tutto. Eros è infatti tra gli dei il più amico degli uomini, perché è il loro protettore e il medico di quei mali, la cui guarigione sarebbe per il genere umano la maggiore delle felicità. Io dunque mi studierò d'esporvi la potenza di lui, e voi ne sarete maestri agli altri. Ma, innanzi tutto, occorre che impariate quale sia la natura umana e le sue vicende non liete. Giacché la nostra natura non era un tempo la stessa di oggi, ma tutt'altra. In origine c'eran tre sessi umani, non due, maschio e femmina soltanto, come ora, ma ce n'era un terzo, che partecipava dell'uno e dell'altro e che, scomparso oggidì, sopravvive appena nel nome. C'era allora un terzo sesso, l'androgino, che di fatto e di nome aveva del maschio e della femmina, e questo non esiste più, fuorché nel nome che suona un oltraggio. Inoltre ogni uomo aveva una figura rotonda, dorso e fianchi tutt'attorno, quattro braccia, gambe di numero pari alle braccia, su un collo cilindrico due visi, perfettamente simili fra loro, un'unica testa su questi due visi, posti l'uno in senso contrario all'altro, quattro orecchie, doppie pudende e tutto il resto come si può supporre da ciò che s'è detto. Camminava anche ritto come ora, in qualunque direzione volesse; e quando si mettevano a correre, quei nostri progenitori, come i giocolieri che a gambe per aria fanno delle capriole a ruota, essi appoggiandosi sui loro otto arti si muovevano -rapidamente, facendo la ruota. I sessi poi eran tre e cosiffatti per questa ragione; che il sesso maschile traeva origine dal sole, il femminile dalla terra, e l'androgino dalla luna, perché anche questa partecipa del sole e della terra. La loro figura dunque era rotonda, e così anche il loro modo di muoversi, appunto perché simili ai loro genitori. Avevano vigore e gagliardia terribili e animo grande, e però se la presero con gli dei, e quel che Omero dice di Efialte e di Oto, va inteso di loro: l'aver tentato la scalata del cielo per dare addosso ai numi.

 

Raffigurazione antica dell'androgino platonico


XV. A questo punto Zeus e gli altri iddii tennero consiglio su ciò che dovessero fare, ed erano perplessi. Non sapevan risolversi ad ucciderli e a sterminare la razza, fulminandoli, come i giganti, perché così sarebbero venuti a privarsi degli onori e dei sacrifici umani; né potevano tollerare che ne facessero d'ogni sorta. E finalmente Zeus, dopo matura riflessione, disse: «Credo di aver trovato la via, affinché gli uomini continuino, sì, ad esistere, ma, divenuti più deboli, smettano la loro tracotanza. Segherò», disse, «ciascun di loro in due, e così mentre saranno più deboli, ci saranno ad un tempo più utili, perché diverranno più numerosi. E cammineranno ritti su due gambe. Ché, ove poi seguitino a insolentire e non vogliano starsene in pace, li segherò» disse, «di nuovo in due, cosicché cammineranno su una gamba sola, a saltelloni». Dette queste parole, venne segando gli uomini in due, come quelli che taglian le sorbe per metterle in conserva, o quelli che dividon le uova coi capelli. E a misura che ne segava uno, ordinava ad Apollo di girargli la faccia e la metà del collo dalla parte del taglio, acciocché l'uomo, avendo sotto gli occhi il proprio taglio, fosse più modesto; e medicargli le altre ferite. E Apollo girava a ciascuno la faccia in senso opposto, e tirando d'ogni parte la pelle verso quello che ora chiamiamo ventre, come le borse a nodo scorsoio, lasciandovi appena una boccuccia, la legava nel mezzo del ventre, in quel punto preciso che chiamano ombelico. Spianava poi tutte le altre grinze, che eran molte, e rassettava le costole, servendosi d'uno strumento suppergiù simile e quello che adoperano i calzolai per spianare sulla forma le rughe del cuoio; ma ne lasciò poche nel ventre e intorno all'ombelico, ricordo dell'antica pena. [...]

XVI. Ognun di noi, in conclusione, è una contromarca d'uomo, in quanto che è tagliato come le sogliole, è due di uno; e però cerca sempre la proprie contromarca. Quanti sono una fetta di quel sesso comune, che allora si diceva androgino, aman le donne, e la maggior parte degli adulteri son nati da esso; e così pure le donne, che si struggon per gli uomini, e le adultere provengono da questo medesimo sesso. Tutte quelle invece, che sono una fetta di donna, non corron dietro agli uomini, ma sono piuttosto inclinate alle donne; e a questo genere appartengono le tribadi. Ma quanti sono una fetta di maschio, danno la caccia al maschio; e finché son ancora fanciulli, come parte d'un maschio, amano gli uomini e godono a giacere e a starsene abbracciati con gli uomini; e questi sono, tra i fanciulli e tra' giovanetti, i migliori, perché i più virili di loro natura.

(Convito, in Opere complete, Roma-Bari, Laterza, 1971, vol. III, pp. 436-438).

 

Secondo il mito, quindi, la natura umana è di per sé incompleta, ha bisogno dell'altro come di una parte di sé, senza la quale non può realizzarsi. L'amore è quindi completamento di sé.

Altrove Platone, nel discorso di Diotima, precisa che questo istinto di unificazione, o meglio riunificazione, della natura umana, risponde ad un profondissimo e inconscio desiderio di immortalità: unendoci al Bello che intravediamo nell'altro, è come se noi stessi entrassimo a far parte del Bello, ed in esso ci perdessimo come individui finiti, temporalmente delimitati, entrando a far parte dell'eternità.

Che in effetti l'amore dia un profondo senso di appartenenza e di immortalità è un dato di fatto, sperimentabile da chiunque.