APOLLONIO RODIO: MEDEA E GIASONE COME ERIKA E OMAR

 

 

La Medea del quarto libro subisce un'improvvisa e incomprensibile metamorfosi, capovolgendosi nel suo opposto: di colpo abbiamo di fronte una donna determinata, sicura del fatto suo, oltremodo decisa a difendere i privilegi ottenuti, e per di più una criminale spietata.

Questo rende del tutto inverosimile il personaggio: mentre infatti la natura criminale della Medea di Euripide è perfettamente calata nel contesto di un animo interamente predominato dalla passione e da una razionalità perversa, che la porta a mettere in atto un estremo ma a suo modo logico "piano" di ristabilimento della giustizia, sovvertita dal fedifrago compagno, al contrario la criminalità della Medea di Apollonio appare impreparata, immotivata: scaturisce all'improvviso senza un movente apparente.

Non è possibile che il poeta alessandrino non si rendesse conto dell'incoerenza del personaggio e non è dato sapere per quale motivo non abbia cercato di porvi rimedio; tuttavia direi che non ci sono dubbi sul fatto che la sua intenzione fosse proprio quella di mettere in piena evidenza l'esplosione della natura criminale della donna.

 

 

Frederick Sandys, Medea, 1868

 

Lo prova il fatto stesso che egli sia intervenuto sul mito, modificandolo, a proposito del più orribile crimine compiuto nel corso della saga degli Argonauti: l'assassinio di Absirto, fratello di Medea.

Riporto la vicenda raccontata da Apollonio.

Impadronitosi del vello d'oro, Giasone fugge insieme ai suoi compagni, portando con sé anche Medea. Al loro inseguimento si gettano i Colchi, comandati da Absirto fratello di Medea, che riescono a raggiungerli nell'alto Adriatico.  Per evitare lo scontro Giasone viene a patti con i suoi avversari, garantendosi il possesso del vello in cambio dell'impegno di lasciare Medea. La fanciulla però rifiuta di assecondare l'amante e si dichiara intenzionata ad attirare Absirto in un tranello per consentire a Giasone di ucciderlo.

Medea fa quindi sapere al fratello che vuole parlargli da sola; il giovane cade nella trappola e di notte si reca al tempio di Artemide, dove la sorella lo abbandona spietatamente alla spada dell'amante, paragonato a in questo frangente ad un macellaio (IV 460-474):

 

andò solo di fronte alla sorella, e prese a saggiarla con le parole,

come fa un dolce bambino con un torrente

che neppure gli uomini forti si arrischiano ad attraversare,

chiedendole se aveva pensato all'inganno per gli stranieri.

Si accordarono l'uno con l'altra su tutti i punti;

e all'improvviso il figlio di Esone balzò dallo scaltro agguato,

con in mano la spada nuda. Medea distolse

subito gli occhi, coprendosi con il velo,

per non vedere il fratello colpito ed ucciso.

Giasone, come fa il macellaio con un toro dalle ampie corna,

colpì: l'aveva spiato nei pressi del tempio di Artemide,

che una volta costruirono in suo onore le genti Brigie,

le quali vivevano nella terra di fronte. L'eroe cadde in ginocchio

nel vestibolo; e all'ultimo, mentre esalava il respiro,

raccolse con ambo le mani il nero sangue della ferita

e, mentre lei si schermiva, le arrossò il bianco velo ed il peplo.

 

Prima di morire Absirto macchia la veste di Medea con il suo sangue, risolvendo così il contrasto fra pudore e amore che aveva caratterizzato la vita di Medea e il suo primo incontro con Giasone.

Morto Absirto, Giasone taglia le estremità del cadavere, secondo un rito tradizionale, per evitare che il defunto si possa vendicare. Da questo momento ella si lascerà sempre dietro una traccia cruenta. Il poeta stesso è consapevole che con quel delitto la fanciulla ha reciso l'ultimo legame con il suo passato e ha optato definitivamente per una nuova esistenza. Quasi a sottolineare che l'episodio costituisce appunto una nuova fase nella vicenda del poema, Apollonio ricorre al modulo tipico epico della protasi per annunziare al lettore l'argomento del canto.

Il brano si conclude con un mito eziologico che spiega la ragione del nome delle popolazioni di quell’isola: Assirti, da Absirto.