ALAN TURING E LA MELA DI BIANCANEVE

 

 

Turing prese le mosse da un gioco che chiamò gioco dell’imitazione. Un ricercatore è chiuso in una stanza e può comunicare col mondo esterno solo tramite una tastiera, con la quale invia messaggi, e uno schermo sul quale legge le risposte. In altre due stanze, anch’essi isolati, ci sono un uomo e una donna. Il ricercatore deve riuscire a capire, solamente dalle risposte che danno, chi dei due sia l’uomo e chi la donna.

I due però hanno il diritto di mentire spudoratamente: il loro scopo infatti è di non lasciar capire il proprio sesso.

Cosa c’entra l’IA? È proprio qui che entra in gioco la provocazione lanciata da Turing. Cosa accadrebbe se lasciassimo che una macchina giochi al posto di uno dei due? Il ricercatore sbaglierebbe l’identificazione lo stesso numero di volte? E sarebbe capace di riconoscere, anziché il sesso dei due giocatori, quale dei due sia la macchina? Se si avesse una macchina tanto sofisticata - sostenne Turing -  da reagire in tutto e per tutto come un essere umano, non si sarebbe costretti a concludere che essa pensi?

Otto anni prima dello sconvolgente articolo di Turing, un giovane ventiduenne, molto prima che vedessero realmente la luce, iniziava a pensare in maniera scientifica ai Robot. Nel 1942 immaginava che i robot del futuro sarebbero stati costruiti per essere in tutto e per tutto i migliori amici dell’uomo. Immaginava che, al momento della costruzione, ad ogni robot venissero impresse in modo indelebile nel cervello delle leggi a tutela dell’uomo. Immaginò, anzi inventò, le tre leggi della robotica. Quel ragazzo si chiamava Isaac Asimov.

 

 

Ricostruzione della macchina Bomba 

 

Fino ai primi decenni del ventesimo secolo gli esseri meccanici erano chiamati automi, dal greco autòmaton, ciò che si muove da sé. Nel 1921 lo scrittore ceco Karel Capek scrisse il dramma teatrale R.U.R.: Rossum’s Universal Robots (I Robot universali di Rossum). La parola robot deriva dallo slavo robota e vuol dire lavoro forzato, schiavitù (la radice è la stessa per le parole che denotano il lavoro in russo e in tedesco: robota e arbeit). Capek fu candidato al Nobel, ma non lo vinse. Morì nel 1938 mentre era ricercato dalla Gestapo per le sue posizioni antinaziste. Il suo R.U.R. sarebbe passato alla storia.

IA forte e IA debole, cibernetica, robotica, artificial life, rete neurali, sistemi esperti, sono tutte scienze figlie più o meno legittime delle idee di Alan Turing. Oggi i campi di ricerca si muovono in nuove direzioni rispetto all’inizio. La stessa IA, oltre che essere stata scorporata in più discipline, vive un forte scisma al suo interno, nato da un approccio diametralmente opposto alla materia. La cosiddetta corrente forte dell’IA predica la possibilità di creare macchine pensanti a partire dalla creazione di un determinato algoritmo, un programma. Sostiene cioè che l'intelligenza possa nascere dalla creazione di un particolare sistema formale che manipoli simboli.

La corrente debole dell’IA, anche chiamata approccio bottom-up, sostiene invece che il solo modo per arrivare ad un’intelligenza artificiale sia quello di costruire una serie di reti neurali così potenti che permettano l’emersione di un apparato intelligente autonomamente, senza bisogno di una programmazione umana che la guidi. Una rete neurale è un sistema nel quale inseriamo una serie di numeri o di segnali elettrici che possono rappresentare, per esempio, un’immagine o un suono, e che risponde fornendo altri numeri o segnali elettrici. Ciò che il programmatore decide della rete è il numero di neuroni, la maniera in cui sono collegati tra loro e il ‘peso’ delle loro connessioni, ovvero quanto valgono i numeri che un neurone riceve dai propri vicini (cioè, nell’analogia col cervello, se le sinapsi sono inibitorie o eccitatorie). Poi la rete impara il resto da sé. C’è anche chi negli ultimi anni ha provato a coniugare le due correnti, convinto che la soluzione sia nel mezzo.

Insomma a più di 50 anni dalla sfida lanciata da Turing - può una macchina pensare? - la querelle è tutto tranne che superata. Anzi, se si pensa che nel febbraio del 2004, a Fukuoka, è stata annunciata la “Fukuoka World Robot Declaration”, documento sugli intenti benefici dei robot prodotti dall’industria giapponese, si può tranquillamente pensare che una risposta a quella domanda sia finalmente vicina.

Ma per Turing tutto stava per finire com’era iniziato.

Il 31 marzo 1952 fu arrestato per omosessualità e condotto in giudizio, dove a sua difesa disse semplicemente che «non scorgeva niente di male nelle sue azioni». Secondo alcune fonti Turing avrebbe denunciato per furto un suo amico ospite in casa sua ed ammesso la propria tendenza in risposta a delle domande pressanti della polizia. In quel periodo si dibatteva nel parlamento britannico l'abrogazione del reato di omosessualità e ciò probabilmente avrebbe indotto Turing ad un comportamento incauto.

La pena inflitta fu severissima: fu sottoposto alla castrazione chimica, che lo rese impotente e gli causò lo sviluppo del seno.

Il 7 giugno 1954 Alan Turing immerse una mela nel cianuro e la morse.

Il genio che aveva lanciato al mondo il pomo della discordia (può una macchina pensare?), moriva per una mela avvelenata. L’uomo che per anni era stato leader di uno dei progetti più segreti del pianeta, l’eroe in incognito, prima corteggiato dai militari e poi trattato alla stregua di un criminale, costretto per un anno a causa della sua omosessualità a una tortura chimica, si spegneva in silenzio a quarantadue anni.

Uno stupido incidente, a detta della madre: il figlio avrebbe semplicemente avuto le dita sporche di cianuro. Suicidio senza alcun dubbio, secondo il referto del medico legale: «causa del decesso: cianuro di potassio autosomministrato in un momento di squilibrio mentale».

Forse Turing aveva scelto un suicidio dubbio proprio per non creare altri scandali in famiglia. E con l’ironia e il gusto del teatro che gli erano propri, aveva ispirato la propria morte alla canzone che amava da bambino e canticchiava ai tempi di Cambridge, quella della strega di Biancaneve:

Dip the apple in the brew

Let the Sleeping Death seep through.

Nel libro Zeroes and Ones di Sadie Plant si ipotizza che il logo della Apple Macintosh sia proprio un omaggio ad Alan Turing. L'azienda non ha mai né confermato né smentito questa notizia: a me piace credere che chi tace acconsenta.

 

(Fonte:

http://www.instoria.it/home/Alan_turing.htm)