Dip
the apple in
the brew
Let
the Sleeping
Death seep through.
("Immergi
la mela nell’infuso
Lascia
che vi si insinui
il sonno di
morte").
Tutto
inizia così,
con una filastrocca
canticchiata
in un giorno
lontano del
1931 da
Alan Turing
(1912-1954),
che fin da piccolo
amava particolarmente
la storia di
Biancaneve.
Era il suo primo
anno a Cambridge.
Quelli furono
per lui gli
anni più
felici, delle
scoperte scientifiche
e della scoperta
del teatro.
Quelli che seguirono
furono gli anni
dell’affermazione
scientifica
e della solitudine
umana.
Erano
gli anni in
cui nacque l’Intelligenza
Artificiale.
Accolta
da alcuni come
l’alba di una
nuova era, osteggiata
da altri come
una pseudoscienza
avida di soldi
e avara di risultati,
essa era una
disciplina senza
padre né
madre, ma con
tante madrine:
psicologia,
filosofia, biologia,
fisica, matematica,
ingegneria.
Una scienza
bambina, presuntuosa
ed impavida,
creativa e spudorata,
allevata nel
calore delle
passioni diversissime
di ricercatori
eclettici, vissuta
tra agi e stenti
alterni, adulata
e disprezzata,
coccolata e
abbandonata.
Una scienza
ibrida,
figlia del secolo
ventesimo, proiettata
nel ventunesimo,
ma con radici
antiche nel
mito ebraico
del Golem e
nella filosofia
leibniziana.
L’IA
è un’avventura
che sa insieme
di scienza e
di mito, di
sfida e di mistero,
che vive nel
silicio e nelle
astrazioni della
logica formale,
ma che mira
anche al segreto
delle emozioni,
delle passioni
e degli istinti
dei viventi.
Alan
Turing
Durante
la seconda guerra
mondiale,
Turing mise
le sue capacità
matematiche
al servizio
del Department
of Communications
inglese per
decifrare i
codici usati
nelle comunicazioni
naziste, criptate
tramite il cosiddetto
sistema Enigma
(progettato
da Arthur Scherbius).
Con l'entrata
in guerra dell'Inghilterra
Turing fu
"arruolato"
nel gruppo di
crittografi
stabilitosi
a Bletchley
Park e con i
suoi compagni
lavorò
stabilmente,
per tutta la
durata della
guerra, alla
decrittazione,
sviluppando
le ricerche
già svolte
dall'Ufficio
Cifra polacco
con la macchina
Bomba, progettata
in Polonia da
Marian Rejewski
nel 1932 ed
ultimata nel
1938.
Basandosi
su tali esperienze
Turing realizzò
una nuova versione,
molto più
efficace, della
bomba di Rejewski.
Fu sul concetto
di macchina
di Turing che
nel 1942 il
matematico di
Bletchley Park,
Max Newman,
progettò
una macchina
chiamata Colossus
(lontana antesignana
dei computer)
che decifrava
in modo veloce
ed efficiente
i codici tedeschi
creati con la
cifratrice Lorenz
SZ40/42, perfezionamento
della cifratrice
Enigma.
Nel
1950,
dopo una serie di
successi scientifici
e di fallimenti
umani, dopo
essere stato
uno degli eroi
più sconosciuti
della guerra
mondiale a causa
del vincolo
di segretezza
che imponeva
di mantenere
il silenzio
sulle attività
dei decrittatori,
Turing scrisse
quello che ancora
oggi resta uno
dei testi fondamentali
dell’IA: Computing
Machinery and
Intelligence.
L’articolo
cominciava alla
maniera informale,
chiarissima
e provocatoria
tipica di Turing.
“Propongo di
considerare
la domanda,
«Possono
le macchine
pensare?».
Bisognerebbe
cominciare con
le definizioni
di cosa significhino
‘macchina’ e
‘pensare’, ma
invece di tentare
tale definizione,
sostituirò
la domanda con
un’altra, che
è strettamente
connessa e si
può esprimere
con parole relativamente
non ambigue.
La nuova forma
del problema
si può
esprimere nei
termini di un
gioco. Lo chiameremo
gioco dell’imitazione”.
Tutto
l’articolo è
così:
limpidissimo
e ironico.
Venti pagine
senza una formula,
senza una frase
che non sia
comprensibile
a un sedicenne.
Venti pagine
da cui traspare
il genio ribelle
di Alan Turing.
Venti pagine
in cui Turing
sembra aver
immaginato molti
sviluppi dell’IA
e previsto tutte
le critiche
da lì
a quarant'anni.
Venti pagine
in cui inventò
il ‘test’ che
diventerà
uno dei punti
più dibattuti
della disciplina.
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