IDIOTS SAVANTS, MEMORIA E MATEMATICA

 

 

Nulla si perde di ciò che è depositato nella memoria,

che è un computer che continua per tutta la vita ad accumulare dati,

che non sempre si utilizzano, perché l’uomo spesso somiglia

a un transatlantico che naviga utilizzando una sola cabina.

 

Saul STEINBERG, Riflessi e ombre, 2001

 

Ogni giorno siamo inorriditi spettatori di crimini senza movente commessi nelle nostre metropoli, periferie e province da congreghe di ragazzi, si dice, perfettamente normali, spinti solo dalla molla del gioco, dell’emulazione, della noia, del desiderio di distrazione. A ben guardare, però, capita a volte che in queste bande di giovani ve ne sia anche qualcuno organicamente ritardato e apparentemente senza memoria, la cui facile suggestionabilità l’ha reso docile strumento dei compari nell’attuazione degl’inconcepibili delitti e, soprattutto, nel diventare, quando la situazione lo richieda, il capro espiatorio.

Chi sono veramente questi sciagurati gregari? È possibile che appartengano tutti a una categoria umana irrimediabilmente senza salvezza?

Se per tracciarne il profilo ci affidiamo a un manuale di medicina legale, laddove si dedica alla valutazione delle anomalìe psichiche, gli individui in questione sono per l’appunto allineati sotto la comune dicitura di “frenastenici extrasociali”, affetti da deficit stabili dell’intelletto, dovuti a traumi, disturbi o malformazioni cerebrali risalenti alla nascita.

Secondo l’impietosa catalogazione forense, i frenastenici sono ulteriormente suddivisibili in idioti (Quoziente d’Intelligenza inferiore a 30), imbecilli (Q.I. fra 30 e 50) e deboli di mente veri e propri (Q.I. fra 50 e 70).

L’insufficienza mentale di costoro sarebbe generalmente caratterizzata da infantilismo emotivo, miseria dell’immaginazione e produzione di idee circoscritta ai bisogni elementari dell’esistenza, assenza di senso morale e critico.

A giudizio del compilatore medico-legale, il frenastenico può in qualche caso possedere una memoria sviluppatissima, ma del tutto meccanica e unilaterale, connessa con il calcolo numerico. Una memoria, dovremmo dedurne, priva di fantasia, impulsi sinaptici senza sentimento, identici a quelli elettronici di un microchip.

 

 

Due gemelle classificate come idiotes savantes

 

Bisogna davvero arrendersi a questa sbrigativa diagnosi, che sembra evocare una schiera di homme-machines equiparabili a certi sferraglianti pupazzi a congegno settecenteschi, giocatori di scacchi e precursori del robot? A chi chiedere di darci una mano?

Proviamo con Bergson. Il quale sosteneva che pensare è ricordare, e che la memoria è qualcosa che ha vita e spazio propri, indipendentemente dai centri cerebrali. Questi avrebbero solo la funzione di fornire alla coscienza i singoli ricordi utili all’azione nel presente. Il cervello sarebbe, insomma, una sorta di centralino con il compito di passare la comunicazione, senza aggiungere nulla a ciò che riceve. Nei bambini, argomentava Bergson, l’azione è scissa dall’operazione di rammentare, in quanto questa non è ancora vantaggiosa, mentre nell'adulto la diminuizione di memoria è apparente, in quanto guadagna in penetrazione ciò che perde quantitativamente. A detta del filosofo francese la memoria può essere sì soggetta ad alterazioni abnormi negli individui in cui lo sviluppo intellettivo è rimasto allo stadio infantile, ma comunque, ecco il punto, nella sua essenza non è mai meccanica, in quanto continua ad appartenere a quel flusso inesteso, puramente psichico che egli chiama durata reale (Henri Bergson, Matière et mémoire, Paris, Alcan 1896, trad. it. di A. Pessina, Materia e memoria, Reggio Emilia, Città Armoniosa 1983, pp. 51-52, 154).

Elucubrazioni di uno spiritualista, si dirà. Per smentirle o confermarle non resta che ricorrere alle relazioni cliniche di stimati neurologi e psichiatri quali David Viscott, W.A. Horwitz e, immancabilmente, Oliver Sacks (cfr. W.A. Horwitz et. al., Identical Twin ‘Idiot Savants’ – Calendar Calculators, in “American Journal of Psychiatry”, CXXI, 1965, pp. 1075-1079; David Viscott, A Musical Idiot Savant, in “Psychiatry”, XXXIII, 1970, pp. 494-515; Oliver Sacks, The Man Who Mistook His Wife for a Hat, New York, Summit Books 1985, trad. it. di C. Morena, L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Milano, Adelphi 1986).

E scopriamo finalmente qualcosa di consolante, cioè che in taluni particolari frenastenici l’innata capacità di dominare i numeri è espandibile a dismisura e si eleva ad armoniosa classificazione del mondo. Da male organico congenito diremmo che si sublima in una sorta di stato di grazia, che consente a questi sfortunati, cui è stato affibbiato lo sbeffeggiante nomignolo di idiots savants, di riassommare dal fondo del loro fosco gorgo solipsistico.