KURT GÖDEL TRA MATEMATICA E METAFISICA

 

 

 

Kurt Gödel (1906-1978), matematico austriaco emigrato negli Stati Uniti e membro dell'Institute for Advanced Studies di Princeton, dove gli fu assegnato il Premio Einstein nel 1951, è poco conosciuto nel mondo dei non addetti ai lavori: il suo carattere modesto e l'altissimo grado di astrattezza delle sue ricerche non l'hanno certo portato alla ribalta della popolarità; tuttavia qualcuno non esita a definirlo l'Einstein della matematica (o, con lo spiritoso gioco di parole di Piergiorgio Odifreddi, il Dio dei logici, da GodEl, che significano "Dio" rispettivamente in inglese e in ebraico).

Il campo della matematica in cui Gödel svolse la sua ricerca è quello logico-formale; nel 1931, all'età di soli 25 anni, pubblicò su un periodico scientifico tedesco un lavoro relativamente breve dal titolo poco rassicurante: Sulle proposizioni formalmente indecidibili dei Principia mathematica e di sistemi affini (i Principia mathematica sono il monumentale trattato di A.N. Whitehead e Bertrand Russell sulla logica della matematica), in cui egli sorprendentemente affermava, con una geniale dimostrazione, l'indimostrabilità della coerenza di un qualunque sistema matematico, ovvero l'impossibilità di costruire all'interno della matematica sistemi i cui principi, o assiomi, siano non-contraddittori fra loro.

 

 

Un giovanissimo Kurt Gödel

 

Questo teorema sembra risolvere negativamente il secondo dei problemi proposti da Hilbert, un altro grande matematico dell'inizio del secolo, in cui egli si chiedeva se fosse possibile dimostrare che gli assiomi dell'aritmetica sono compatibili, ossia che partendo da essi e procedendo attraverso un numero finito di passaggi logici non si può mai giungere a risultati contraddittori (proprio nel tentativo di inquadrare definitivamente il problema erano venuti alla luce i Principia, il più elaborato tentativo mai fatto prima di allora di sviluppare le nozioni fondamentali dell'aritmetica a partire da un insieme ben definito di assiomi).

In sostanza, cosa afferma il teorema di Gödel? Due cose molto importanti, che in termini estremamente semplificativi possono essere espresse così:

- in primo luogo, come già detto, l'indimostrabilità della coerenza di un sistema matematico basato su 'regole' logiche;

- in secondo luogo l'incompletezza di qualsiasi sistema nel cui ambito possa venir sviluppata l'aritmetica; in altre parole, l'esistenza di proposizioni aritmetiche logicamente vere le quali non possono essere dedotte dall'insieme.

Di recente, il libro I demoni di Gödel di Pierre Cassou-Nougès (Bruno Mondadori, Milano 2008) ha riproposto all'attenzione del pubblico la figura di questo matematico così poco conosciuto e così geniale, vagliando con attenzione le sue opere e giungendo ad una conclusione sconcertante: Gödel nei suoi scritti appare molto più attento alle conseguenze metafisiche del suo teorema che a quelle matematiche, affascinato, rapito dall’incredibile mondo numerico, tanto da pensarli come prova ineluttabile dell’esistenza di Dio e degli angeli.

La “follia” dunque della logica: non una patologia necessitante cure e particolari attenzioni mediche, come la schizofrenia di John Nash, ma piuttosto la “follia” del visionario, di colui che, a differenza dei più, riesce a vedere con occhi sempre nuovi non contaminati dai pregiudizi del sociale e - perché no? - della scienza. E per questo sembra, a ragione, “folle”: è il ribaltamento della “normalità” del senso comune.

E tuttavia i risvolti propriamente patologici nella personalità di Gödel non mancano certo: egli infatti era ossessionato dal timore di essere avvelenato e finì per lasciarsi morire smettendo di alimentarsi.

Alla base del pensare gödeliano (esattamente come di quello di Nash) c’è la convinzione che il mondo sia profondamente razionale e non ci sia spazio per la casualità: è la monadologia del filosofo che più di ogni altro ha influito sul suo pensiero, Leibniz appunto, a convincerlo che tutto sia armonicamente costituito e rispetti leggi necessarie, perfette, divine per l’esattezza.

Ma se Dio avesse sbagliato qualcosa nei suoi progetti? Forse le monadi potrebbero uscire dalla loro maestosa armonia e ribellarsi ai corpi che dinamicamente costituiscono: allora esse avrebbero il potere di uccidere, di disintegrare i corpi e con essi la realtà. Le fobie del logico sono le conseguenze dirette di un eccessivo spirito di razionalità, un razionalismo esasperato perché proprio lì dove la conoscenza avverte la sua fallibilità, allora si apre lo spazio per l’indeterminato.

Ma torniamo a quel 26 agosto del 1930 in cui Gödel ha solo ventiquattro anni e, al caffè Reichsrat di Vienna, annuncia la sua scoperta, che andrà a consolidare la già avviata crisi sui fondamenti della matematica aperta anni prima da Russell sull’opera di Frege, che aveva portato Hilbert a voler dimostrare la completezza del sistema matematico e dunque dell’aritmetica elementare come sua costituente.

Cassou-Noguès presenta brevemente e piuttosto informalmente il Teorema d’Incompletezza, con una lunga discussione sui sistemi formali e la macchina di Turing. Se il pensare gödeliano implica che necessariamente tutto debba poter essere conosciuto, eppure l’uomo sperimenta l’incompletezza dei sistemi conoscitivi, cosa resta del razionalismo che è alla base delle sue stesse tesi? E se è possibile che la matematica sia non la creazione divina, bensì la sua stessa essenza, come poter manipolare simboli tanto estranei alla mente umana? È possibile conoscere solo ciò che creiamo deliberatamente; pertanto un oggetto che conosciamo solo in maniera imperfetta, o presuppone un materiale esterno a cui deve la sua origine, oppure rinvia a processi di creazione in una parte inconscia della nostra mente.