IL MATRICIDIO IN ESCHILO, SOFOCLE ED EURIPIDE

 

 

Sul delicatissimo tema del matricidio l'opinione dei tre grandi tragici greci è nettamente divergente: la prima considerazione che si impone è che, mentre Eschilo pone questo tema al centro della sua meditazione sul senso dell'esistenza, Sofocle lo tratta esplicitamente in una sola tragedia, l'Elettra, mentre Euripide non se ne occupa affatto.

Il confronto in questa sede avverrà fra Eschilo ed Euripide, dal momento che Sofocle appare "sbilanciato" su un altro versante; inoltre sarebbe molto imprudente, per non dire di peggio, trarre qualsivoglia deduzione in merito al matricidio a partire dall'Elettra, la cui interpretazione è oggetto di un'accanita disputa fra i critici, come pure la sua collocazione cronologica. Concordo con chi, come Luciano Canfora, la considera posteriore all'omonima tragedia di Euripide e "abbassa" notevolmente la datazione tradizionale, portandola al 410-409. Non è qui il caso di affrontare questo vero e proprio ginepraio esegetico; mi limiterò a dire che a mio parere l'interpretazione in chiave etica di questa tragedia è semplicemente improponibile e condurrebbe o a legittimare il matricidio, o a far fare a Sofocle affermazioni comunque aberranti, in totale contraddizione con le altre sue opere; si dovrà quindi pensare che la chiave di lettura più corretta dell'Elettra sia quella politica, che vede in questa singolare tragedia una sorta di metafora politica legata al ripristino violento della democrazia dopo il colpo di stato dei Quattrocento del 411 (ripristino avvenuto nel 410), specie se si considera la necessità, da parte di Sofocle, di "rifarsi una verginità" di fronte alla πόλις dopo l'ambiguo ruolo da lui svolto in veste di "probùlo" nel 412 (di fatto i probùli avevano aperto le porte al colpo di stato oligarchico).

Proprio perché l'Elettra di Sofocle è illeggibile (o difficilmente leggibile) in chiave etica, è di scarso interesse per il mio argomento. Se mai, più interessante è il rapporto incestuoso tra Edipo e Giocasta nell'Edipo Re, che causa il suicidio di Giocasta stessa: ma, se di matricidio si tratta, esso avviene in modo del tutto involontario e inconsapevole, a causa di quell'ἁμάρτημα che Sofocle pone al centro della sua meditazione tragica e che, impedendo qualsiasi comprensione dell'accaduto, vanifica completamente il senso del dolore e si contrappone recisamente al meccanismo del τῷ πάθει μάθος di Eschilo, che non a caso scaturisce dalla colpa e non dall'errore.

Charles François Talibert, Edipo e Antigone, circa 1860

Tuttavia, per quanto interessante, il tema dell'incesto ha a che fare con il complesso di Edipo, e non con il matricidio.

Ecco perché, come dicevo, in questa sede mi limiterò a prendere in considerazione Eschilo ed Euripide.

Ci si potrebbe domandare perché occuparsi di Euripide, se è vero che - come ho detto - del matricidio non si occupa affatto. La risposta è che proprio il suo silenzio è significativo; ed ancor più del suo silenzio, è significativo il capovolgimento della prospettiva da lui operato: in Euripide infatti non è il figlio che uccide la madre, ma la madre che uccide il figlio. Si faccia mente locale ad un dettaglio: le tragedie di Euripide a noi note (escludendo Alcesti, che è un "quarto dramma" e come tale a lieto fine) si aprono con una madre che uccide i figli, Medea, e si chiudono con una madre che uccide il figlio, Agave (nelle Baccanti, rappresentate postume). Il che non è certamente un caso.

Preliminare a tutto è chiarire il senso della figura materna per entrambi i tragediografi: la madre, infatti, assurge per entrambi a simbolo della Natura, la Grande Madre universale. E' dunque sulla φύσις che si svolge la loro meditazione, e non sulla singola figura di una qualche madre umana.

Su tale punto la loro visione del mondo differisce radicalmente, fino ad essere antitetica.