ALBERT EINSTEIN: LA BELLEZZA COME RIVELAZIONE DEL DIVINO

 

 

Ma cosa intendeva esattamente Einstein quando si riferiva a Dio come "intelligenza cosmica", "grandezza della ragione incarnata nell’esistenza", o quando non infrequentemente usava nei suoi confronti l’espressione talmudica "il Vecchio"?

Egli non sempre era coerente e non è facile afferrare precisamente cosa intendesse. Sembra però chiaro che egli concepisse Dio come la fondamentale base spirituale di ogni ordine razionale che trascende ciò che lo scienziato tratta come legge naturale, ma, diversamente dalla religione giudaico-cristiana, egli non lo concepiva in un modo che definiva "personale" o "antropomorfico", cioè, come un Dio immaginato a immagine dell’uomo, bensì in un modo "superpersonale" (ausserpersoenlichen) libero dalle catene del "solo personale" (Nur-Persoenlichen) o dai desideri della gente.

Spesso fu chiesto ad Einstein: "Lei crede in Dio?", ed egli talvolta rispondeva: "Io credo nel Dio di Spinoza, che si rivela nell’armonia di tutto l'essere". "Per Dio", scrive Spinoza all’inizio della sua Etica, "io intendo un essere assolutamente infinito, cioè una sostanza che consiste in infiniti attributi, di cui ciascuno esprime l’eterna ed infinita essenzialità". La proposizione XV dell’Etica dichiara: "Tutto ciò che esiste, esiste in Dio, e senza Dio nulla può esistere o essere concepibile".

 

 

Francobollo sovietico dedicato alla celebre formula einsteiniana E = mc2

 

Una volta, rispondendo alla domanda: "Lei crede nel Dio di Spinoza?", Einstein replicò come segue:

"Non posso rispondere con un semplice sì o no. Non sono un ateo e non penso di potermi definire un panteista. Noi siamo nella posizione di un bimbo che entra in una grande biblioteca piena di libri in molte lingue. Il bimbo sa che qualcuno deve aver scritto quei libri. Non sa come. Sospetta fra sé un ordine misterioso nella sistemazione dei libri ma non sa identificarlo. Questa mi sembra l’attitudine anche dell’essere umano più intelligente verso Dio. Vediamo un universo meravigliosamente disposto e che obbedisce a certe leggi, ma possiamo capire queste leggi solo superficialmente. Le nostre menti limitate non possono afferrare la forza misteriosa che fa muovere le costellazioni. Sono affascinato dal panteismo di Spinoza, ma ammiro anche di più il suo contributo al pensiero moderno in quanto fu il primo filosofo a trattare corpo e anima come una cosa sola e non come due separate".

Quando un ebreo, Martin Buber, che Einstein conosceva da quarant’anni, un giorno a Princeton lo stava pressando perché rivelasse particolari delle sue credenze religiose, Einstein dichiarò: "Ciò per cui noi [fisici] ci adoperiamo... è ricalcare le sue linee". Più si penetra nei segreti della natura, disse, più si cresce nel rispetto di Dio.

Einstein era convinto che la principale sorgente del conflitto dei nostri giorni fra la sfera religiosa e quella scientifica stia nel "concetto di un Dio personale", per cui si pensa a Dio in un modo antropomorfico e si proiettano su di Lui immagini figurative e l’umana nozione psicologica di personalità che danno origine alle pratiche religiose di culto e alle nozioni di provvidenza, delineate in accordo ai desideri umani.

Ciò non significa che Einstein pensasse a Dio in termini meramente impersonali, dato che, come abbiamo notato, egli concepiva la relazione con Dio in un sublime modo superpersonale che egli si confessava incapace di cogliere o esprimere, e davanti al quale egli restava in sconfinato rispetto e meraviglia. Quindi fu profondamente colpito quando il cardinale O’Connell di Boston lo accusò di essere un ateo. Quando un giornalista una volta lo accostò in California con la domanda: "Dottore, esiste Dio?", Einstein si volse altrove con le lacrime agli occhi.