Cosa
intendeva allora
Einstein affermando
che credere nell’Amor
Dei Intellectualis
di Spinoza fosse
la più alta
gioia che l’uomo
potesse conoscere?
Significava che
approvava l’idea
di Spinoza che è
razionale amare
Dio e che amare
Dio è razionale,
in modo tale che
impegnarsi nella
scienza è
pensare gli stessi
pensieri di Dio.
Per Spinoza, comunque,
ciò comportava
la definitiva identificazione
di Dio con la natura,
un tutto causalmente
concatenato, mentre
per Einstein, come
abbiamo visto, la
comprensibilità
(Verstaendlichkeit)
di Dio non può essere ridotta
alla intelligibilità
logico-causale della
natura. Occorreva
tenere conto di
una relazione trascendente.
Sebbene ci
fosse molto nella
filosofia di Spinoza
che Einstein non
poteva accettare,
ciò che lo
attraeva era il
rifiuto di Spinoza
del dualismo cartesiano
e di altre forme,
e la sua concezione
unitaria dell’universo
e della sua inerente
armonia razionale.
Ciò fu per
Einstein sia un
sostegno sia un
problema. Alimentò
la sua grande spinta
verso una teoria
unificata di campo
e il suo rifiuto
di un dualismo fra
spazio e tempo,
onde e particelle,
teoria della relatività
e teoria quantistica;
ma l’uniformità
logico-matematica
e rigidamente causale
di Spinoza lo portò
a un rigido determinismo
assoluto che entrava
in conflitto con
la comprensione
realista e dinamica
di Einstein dell’apertura
dell’universo, che
rifiutava il chiuso
sistema euclideo
del mondo.
Riporto
infine una lettera
che Einstein scrisse
a un bambino che
gli aveva chiesto
se gli scienziati
pregano:
"Cercherò
di rispondere alla
tua domanda nel
modo più
semplice possibile.
Ecco la mia risposta.
La ricerca scientifica
si basa sull’idea
che ogni cosa che
avviene è
determinata dalle
leggi della natura,
e ciò vale
anche per le azioni
delle persone. Per
questa ragione,
uno scienziato ricercatore
difficilmente sarà
incline a credere
che gli eventi possano
essere influenzati
dalla preghiera,
cioè da un
desiderio presentato
a un Essere sovrannaturale.
Tuttavia, si deve
ammettere che la
nostra reale conoscenza
di queste leggi
è solo imperfetta
e frammentaria,
tanto che anche
la nostra credenza
nell’esistenza di
leggi che comprendono
ogni cosa in natura
si basa in realtà
su una specie di
fede. Questa fede
è stata finora
largamente giustificata
dal successo della
ricerca scientifica.
Ma, d’altra parte,
chiunque sia seriamente
impegnato nell'esercizio
della scienza si
convince che nelle
leggi dell’universo
si manifesta uno
spirito, assolutamente
superiore a quello
dell’uomo, di fronte
al quale noi, con
le nostre modeste
forze, dobbiamo
sentirci umili.
In questo modo,
l’esercizio della
scienza conduce
a un sentimento
religioso di un
certo tipo, che
è piuttosto
differente da certa
religiosità
più naif".
Un
manifesto che accomuna
impropriamente Albert
Eistein ad alcuni
celebri atei
Ciò
conduce alla
seconda domanda:
cosa
implicava "Dio"
per la scienza matematica
e fisica di Einstein?
Nelle
prime fasi della
sua carriera, Einstein
si convinse, a causa
dei suoi studi su
Newton e Keplero,
che non vi è
alcun cammino logico
verso la conoscenza
delle leggi della
natura, dato che
non vi è
alcun ponte logico
fra i fenomeni e
i loro principi
teoretici. Ciò
fu molto rinforzato
dai suoi studi su
James Clerk Maxwell.
Ciò che è
essenziale, egli
riteneva, è
l’aspetto extra-logico,
cioè il riferimento
ontologico del pensiero
alla realtà.
Nell’armonia prestabilita
dell’universo, "le
idee vengono da
Dio", esse
sono rivelate alla
mente sintonizzata
sul piano fondamentale
dell’universo, e
sono apprese mediante
l’intuizione,
che
si appoggia sulla
comprensione simpatetica
dell'esperienza.
Lo scienziato "deve persistere
nella sua limitata
attitudine agli
isolati risultati
della ricerca empirica,
fino a quando gli
si rivelano i principi
che è possibile
collocare alla base
del ragionamento
deduttivo".
Ed ancora: "Il compito
supremo del fisico
è arrivare
alle elementari
leggi universali
a partire dalle
quali il cosmo può
essere ricostruito
per deduzione. Non
esiste nessun cammino
logico verso queste
leggi; può
coglierle solo l’intuizione
basata sulla simpatetica
comprensione dell’esperienza...
Non vi è
nessun ponte logico
fra i fenomeni e
i loro principi
teorici; Leibniz
molto felicemente
descrisse ciò
come 'armonia
prestabilita’".
Einstein
definiva questo
modo intuitivo,
non
logico, di raggiungere
la conoscenza come
"intercettare
i pensieri di Dio":
"più
si penetra nei segreti
della natura, maggiore
diventa il rispetto
per Dio".
Una
volta, mentre stava
tracciando le implicazioni
della teoria della
relatività
in un modo così
attraente
che sperava fosse
in sintonia con
i pensieri di Dio,
disse: "non
posso sapere se
il buon Signore
non riderà
di ciò e
non mi condurrà
fino al sentiero
del giardino!".
Le
equazioni della
teoria della relatività
infatti ci riportano
indietro fino al
punto zero dell’espansione
dell’universo che,
perciò, comunemente
si chiama "buco
nero", il che,
come sosteneva Henry
Margenau, implica
il principio di
creatio ex nihilo.
Tale creatio ex nihilo
era un’idea tratta
dalla nozione di
Dio del Deus sive
Natura di Spinoza
come un’infinita,
eterna sostanza
che si auto-crea
e dalla sua concezione
dell'universo come
non contingente
e completamente
necessario nella
sua identificazione
con Dio.
Ciò
che comunque è
essenziale, ai fini
del mio discorso,
è il fatto
che le equazioni
della teoria della
relatività
si fossero affacciate
all'intuizione di
Einstein come pensieri
di pura bellezza,
e che proprio la
loro singolarissima
bellezza costituisse
ai suoi occhi la
garanzia della Verità,
cioè la
speranza di essersi
"sintonizzato"
con il pensiero
di Dio.
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