RENÉ MAGRITTE

 

 

Semioticamente parlando, l'opera appare come un vero e proprio "trattato", in linea con i postulati di de Saussure [grande linguista svizzero fondatore dello strutturalismo, N.d.R.]. Tutto, o quasi, ricorda il Trattato di linguistica generale, che peraltro è la vera e propria culla della semiotica. D'altra parte, l'opera si presenta come una lucida e per così dire fredda evocazione della crisi che attraversa e terremota le certezze del linguaggio tra la fine del XIX secolo e l'inizio del nostro: da de Saussure a Hoffmansthal, da Rimbaud a Jarry a Lautréamont, da Seurat a Balla, Boccioni, gli artisti Dada, laddove insomma il mondo reale e quello dei segni si separano inesorabilmente e il secondo non riesce più ad "affermare" la tangibilità o comunque la consistenza del primo.

In tal senso le "tavole" pubblicate da Magritte qualche tempo dopo «Ceci n'est pas une pipe», non sono solo una sorta di "summa" analitica della nuova coscienza antinaturalistica dei linguaggi e della frattura insanabile che li separa dalla realtà, ma nei vari passaggi sottolineano soprattutto l'eclissi di ogni possibilità in base alla quale sia dato al mondo dei segni di "affermare", o se volete di sottolineare, gli oggetti cui esso si riferisce: il segno è autonomo, liberato da ogni vincolo, esso invade e domina il mondo, e più il suo predominio si rafforza più il mondo svanisce come cipria di farfalla; ma più ancora, e in conseguenza a ciò, il linguaggio, svuotato da ogni necessità e da ogni funzionalità interpretativa, imitativa o referenziale, appare a sua volta definalizzato, armatura vuota e allucinante cui manca un corpo capace di impugnare la spada, la lancia, gli elmi e gli scudi sparpagliati sui tetti dei palazzi aristocratici dell'Europa centrale e nordica del secolo.

 

 

René Magritte, Il lume filosofico (1936),

forse la rivisitazione più surreale e autoironica del tema della pipa

 

Ciononostante "il mistero" (o "i due misteri") di «Ceci n'est pas une pipe» non consiste nel principio contraddetto di somiglianza e di affermazione che caratterizzano il rapporto tra i protagonisti principali dell'opera, la pipa raffigurata e le parole scritte, il loro ironico attestato di non verità e lo scollamento nei riguardi del mondo reale e tangibile: il sortilegio dell'opera di Magritte nasce da una concezione spoglia e disarmata del mistero e dal fatto che la sua esistenza si situa per lui al centro del mondo, ne è l'essenza stessa. Tutto ciò era ampiamente condiviso dall'"esercito" surrealista coagulatosi agli inizi degli anni Venti attorno a Breton e poi ramifìcatosi attraverso le successive ondate. Ma, al di là delle evidenti diversità degli esiti, Magritte si distingueva nelle premesse stesse. Se, al pari dei suoi colleghi dell'entourage parigino, rinuncia alla pittura come finalità e non lavora per ricercare una "modifica" relativa alla specificità strutturale del linguaggio, egli tuttavia non abbandona il terreno che è il luogo deputato all'attività del pittore; profondamente europeo, rivendica alla pittura la prerogativa della visione e a questa il primato sulla realtà. Da un lato egli rappresenta un ramo autonomo rispetto all'ortodossia freudiana del surrealismo storico; ma da un altro lato ne costituisce la polarità più lucida e precisa, quella che più sottolinea i capisaldi e i modelli che ne costituiscono la poetica. Nessuno, infatti, è stato in grado, come Magritte, di sorprendersi prima ancora di sorprendere, di stupirsi "candidamente" prima ancora di stupire. Fatta la debita eccezione per Max Ernst, che però è e rimane un grande pittore alla ricerca finalizzata di uno stile capace di combaciare con il mondo delle idee, per il resto nessuno traduce in immagini la naturalezza (la "naturalità") della magia, del mistero, dello svaporare del mondo come l'artista di Bruxelles. Non Salvador Dalì, che presto scivola nel "teatro" della metamorfosi e della metafora; non Tanguy, che sterza verso una germinazione cerebrale di fantasmi desertici, immersi nell'irrealtà di pullulazioni notturne; non gli altri della prima o delle successive ondate, strette nella tenaglia di un inconscio dispotico destinato a un consumismo sovrastrutturale che, con l'andare degli anni, diventerà perfino reazionario."

 

 

(Fonti:

http://www.surrealismo.it/magritte_il%20pensiero.htm

http://www.stilearte.it/articolo.asp?IDart=1042)