Lirico e sognante,
il belga
René
Magritte (Lessines
1898 - Bruxelles
1967)
fu artista perennemente
in bilico fra
la notte e il
giorno, fra
il terso e limpido
equilibrio della
sua lucida stesura
pittorica e
l’ombrosa inquietudine
delle sue ossessioni
visive, sempre
controllate,
comunque, da
una sottile
ed elegante
ironia.
Ripercorrere
la vicenda biografica
dell’artista
belga significa
scoprire che
la sua pittura
è stata
una sorta di
vita parallela
vissuta in un'affascinante
dimensione intermedia
tra sogno e
realtà,
tra fantasia
e memoria.
Il
pittore, che
non amava le
biografie, andava
affermando che
l’opera di un
artista deve
smentire la
sua vita, o
meglio, deve
farla mentire:
con ciò
egli poneva
la finzione, ovvero
l'ironia, come
base e fondamento
della sua arte.
Così
gli oggetti-immagini
che egli costruisce,
e che sono gli
elementi strutturali
più rappresentativi
della sua arte,
vanno probabilmente
interpretati
come surrogati
della sua fantasia,
proiezioni fantasmatiche
attraverso cui
dipinge la propria
interiorità,
senza necessariamente
doverla illustrare,
in alcuni casi
vere e proprie
sostituzioni
liberatorie
dei fatti più
dolorosi della
sua storia (primo
fra tutti il
trauma della
morte della
madre, che si
tolse la vita
quando René
era solo tredicenne).
René
Magritte nel
1967 davanti
ad un suo quadro
Quieto
e introverso,
Magritte incarna
l’esponente
tipico di un
esercizio di
“ricognizione
dell’anima”
che avviene
nello spazio
limitato della
propria stanza,
alla ricerca
di un’identità
che si concretizza
nella pittura.
André
Breton,
principale artefice
e organizzatore
del movimento
surrealista
e amico del
pittore, credeva
nel “futuro
risolversi di
due stati, in
apparenza contraddittori,
sogno e realtà,
in una specie
di realtà
assoluta, di
surrealtà”;
Magritte, in
tutta la sua
copiosa produzione
artistica, rimase
sempre coerente
con questa linea
di ricerca,
realizzando
opere caratterizzate
tra loro da
un’inconfondibile
unità
tecnica e tematica.
Tuttavia
il suo approdo
ad esiti surrealisti
si delinea con
tratti di assoluta
originalità.
Ad una visione
d’insieme, infatti,
la sua appare
come la storia
della ricerca
di una grande
avventura intellettuale
certamente debitrice
nei confronti
delle suggestioni
del mondo surrealista,
ma, in verità,
largamente indipendente
da esse. Un'avventura
intellettuale
prevalentemente
indirizzata
ad un’indagine
espressiva che
si svolge con
lenta e continua
coerenza in
una parabola
solitaria, nutrita
degli apporti
più diversi,
ma vigilati
da una mente
lucida e razionale,
capace di un
distacco ancora
una volta tutto
ironico, anche
se dominata
da un flusso
irruente di
ispirazione.
Fondamentale
è stato
l’incontro spirituale
di Magritte
con la Metafisica
di De Chirico, in
particolare
con l’opera
Il
canto d’amore
del
1914, dipinto
nel quale il
maestro vide liberate
le idee sulla
pittura che
fino a quel
momento egli
aveva avuto in
mente. Fortemente
sedotto dal
senso enigmatico
del mistero
che permeava
il dipinto del
maestro italiano,
egli comprese,
come in un’improvvisa
epifania, quale
dovesse essere
il linguaggio
attraverso cui
esprimere il
proprio mondo
interiore. Fu
questo, di fatto,
il vero punto
di partenza
del percorso
che Magritte
sviluppò
in maniera del
tutto personale
e unica
e che lo condusse
a condividere
il progetto
surrealista
in modo tanto
originale.
Enigmatici
uomini vestiti
di nero, oggetti
che perdono
la loro funzione
quotidiana perché
messi in relazione
tra loro in
modo da stravolgere
l'idea comune
a noi nota,
cieli azzurri
attraversati
da candide nuvole
irrealmente
immobili, illusioni
spaziali ai
limiti dell'assurdo:
sono queste
le immagini
ricorrenti che
il maestro dipinge
attraverso l’utilizzo
di una tecnica
pittorica meticolosa,
quasi fotografica,
vicina al metodico
realismo di
sapore accademico.
Una simile
tecnica è
in sé
ironica:
creando un'illusione
di tipo visivo,
strettamente
legata alla
percezione ottica
dell'oggetto
rappresentato,
e smentendola
nelle scelte
compositive,
nelle incongruenze
di un mondo
da lui composto
e ricomposto
in una dimensione
quasi allucinatoria,
egli suscita
un profondissimo senso
di sconcerto
e di spaesamento
nello spettatore.
Questo
aspetto concettuale,
analitico, sotteso
alla pittura
magrittiana,
eserciterà
una sostanziale
influenza su
alcuni movimenti
artistici del
Novecento come
la pop art
o la stessa
arte concettuale.
Si ricordi,
a questo proposito,
che la mostra
dedicata all'artista
belga organizzata
a New York intorno
alla metà
degli anni cinquanta
fu determinante
per artisti
quali Andy
Warhol, Robert
Rauschenberg
e Jasper Johns.
Anche la
pubblicità
e i mezzi di
comunicazione
di massa devono
moltissimo a
Magritte
per la sua capacità
di inventare
immagini raffiguranti
idee: non a
caso l'universo
magrittiano
evoca suggestioni
che in larga
parte appartengono
all'immaginario
collettivo.
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