Come
ho già
detto, non
mi sento di
avallare la
tesi della "sincerità"
del proemio: se
le cose stessero
così,
se Lucano
avesse voluto
sinceramente
elogiare Nerone,
dovremmo
attribuire al
poeta o una
incoerenza
degna di miglior
causa, o una
non comune storditaggine,
al limite della
vera e propria
stupidità,
tale da non
rendersi nemmeno
conto delle
enormi contraddizioni
in cui cadrebbe:
cosa che mi
pare il
caso di escludere
sulla base dell'impostazione
di tutto il
suo poema (per
non parlare
della stima
tributatagli
da Giacomo Leopardi,
sulla quale
certi critici
farebbero meglio
a riflettere);
stupidità
responsabile
anche della
sua goffaggine,
se
egli non si
rendeva conto
che i suoi sperticati
"complimenti"
nei confronti
di Nerone erano
malriusciti,
ridicoli e maldestri.
A
che pro, ad
esempio, un'affermazione
di questo genere?
"Ma
non scegliere la tua sede nella zona dell'Orsa (= il Polo Nord), né in quella
opposta, dove si trova il caldo polo australe, donde vedresti la tua Roma con
una traiettoria obliqua: se tu graverai su una sola parte dell'etere immenso,
l'asse dell'universo sentirà il tuo peso." (vv. 53-57).
Questa
osservazione
sembrerebbe
alludere, come
hanno notato
alcuni critici
antichi e moderni, ai
problemi di
sovrappeso che
affliggevano
Nerone, se non
addirittura
ad un suo strabismo;
e se così
non è,
per quale altro
motivo
è stata
introdotta?
Essa è in
sé sciocca,
futile, priva
di qualsiasi
motivazione
plausibile,
artistica e
non. Possibile
che, nell'ottica
di elogiare
l'imperatore, a
Lucano venissero
in mente soltanto
spiritosaggini
melense e di dubbio gusto?
John William Waterhouse,
Il
rimorso
di
Nerone
dopo
l'assassinio
di
Agrippina, 1878 |
Ed
ancora:
"Allora (=
quando sarai
morto) il genere umano, deposte le
armi, pensi a se stesso, e ogni popolo si ami vicendevolmente: la pace, diffusa
per il mondo, chiuda le ferree porte del tempio di Giano portatore di guerra."
(vv. 60.62).
L'affermazione
è tanto
sorprendente
quanto inequivocabile:
la pace ritornerà
sulla terra
soltanto dopo
la morte di
Nerone. Possibile
che Lucano non si rendesse
conto che un'affermazione
del genere è
molto offensiva?
Ma
dev'essersene
reso ben conto
Nerone, se, dopo
la recitatio dei
primi tre libri,
è scattata immediata
la sua censura.
Solo per questioni
di "gelosia"
nei confronti
del più
dotato rivale?
Mi permetto
di dubitarne.
Non
è più
semplice, anziché
fare letteralmente
i salti mortali
per voler vedere
"altro"
in Lucano e per
far quadrare
i conti
di un discorso
fondato su presupposti
discutibili,
attenersi all'immagine
che egli stesso
si sforza di
dare di sé,
che poi è
esattamente
quella ben delineata
ad esempio da
Ettore Paratore
nella sua Storia della
letteratura latina (Firenze 1991, p. 588)?
In
definitiva,
a mio parere,
il proemio lucaneo
non può
essere correttamente
interpretato
se non alla
luce dell'ideologia
complessiva
sottesa all'opera.
E questa ideologia
può essere
sintetizzata
nella bella
formula trovata
da
O.S. Due
(Lucan et
la philosophie,
in M. DURRY
(ed.), Lucain,
«Entretiens
Hardt»
15, Vandoeuvres-Genève
1970, p. 214),
il quale afferma
che il poema lucaneo
esprime la visione
del mondo di "uno
stoico che ha
perduto la fede".
Per
citare le parole
conclusive di
un saggio di
Emanuele
Narducci
(Provvidenzialismo e
antiprovvidenzialismo in
Seneca e in Lucano, leggibile
qui), "nella
Pharsalia
la negazione
dell’ordinamento
provvidenziale
del mondo, la
quale si esprime
nelle frequenti
invettive contro
gli dei, si
fa particolarmente
astiosa e violenta
proprio perché
si alimenta
dei residui
di questa fede
perduta:
è una
frizione stridente,
che attraversa
l’intero poema,
e dalla quale
emerge l’idea
di una potenza
divina intrinsecamente
malvagia:
una potenza
che nella storia
umana persegue
l'annientamento
della ragione
e della virtù,
così
come sul piano
cosmico essa
guida, attraverso
una catena causale
ineluttabile,
l'intero universo
verso una catastrofe
senza rinascita.":
di qui il pessimismo
storico-cosmico
di Lucano.
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