Scrive
infatti Palma:
"Nessuno di questi elementi,
come già quelli extra-testuali elencati precedentemente, sembra tuttavia
determinante per individuare quali fossero i reali intenti di Lucano e da qui
risolvere, in un senso o nell’altro, la natura del suo rapporto con il potere.
In generale, si dovrebbe diffidare di conclusioni che cerchino di armonizzare a
tutti i costi le idee politiche di Lucano. Coerentemente con l’immagine [...] di Lucano come poeta dell’eccesso, può
essere accettabile, benché certamente ambiguo, tutto il profluvio di iperboli di
cui l’elogio a Nerone è finemente lastricato. La lettura in chiave ironica
dell’elogio appare, infatti, come una sorta di lectio facilior, un'interpretazione a senso unico, autorizzata
dall’immagine stereotipata di Lucano come poeta “contro” [21]
che si ricava, o si vuole ricavare, dalle pagine del Bellum civile."
Non
condivido affatto
questa
impostazione, che
mi sembra in
sé molto
bizzarra e quasi
offensiva nei
confronti di
un personaggio
che, in fin
dei conti, ha
pagato con la
vita il suo
essere "contro";
ma proseguiamo
nella lettura:
"All’impressione di asprezza e
di enfasi, che sembra pesare su tutta la poesia del Bellum civile, concorrono diversi procedimenti formali. Alcuni di
questi sono rilevabili anche nella prima parte dell’elogio di Nerone, i vv.
33-45.
La
diseguale collocatio verborum, pur
nell’arco di soli 12 versi, crea un effetto di disarmonia nel ritmo. Si
confronti il complicato intreccio dei vv. 33-6 con la sententia del v. 37 (iam
nihil, o superi, querimur), subito rincarata da una sententia più lunga, ma senza inciso e divisa in due da un
enjambement che spacca in due l’enunciato, di qua il soggetto (scelera ipsa nefasque), di là il verbo e
il complemento (hac mercede placent).
Lo stesso accade nel nuovo periodo aperto dall’aggrovigliato succedersi di
proposizioni – molte variationes,
iperbati a profusione, falsi parallelismi come Perusina fames Mutinaeque labores -
e chiuso da una nuova sententia: quod tibi res acta est, che occupa il primo emistichio del v. 45.
Lo stesso effetto scomposto e nervoso si realizza con l’uso diseguale degli
enjambement: il ritmo è sempre pronto a fuoriuscire dalla misura del verso,
oppure ad arrestarsi bruscamente laddove sembrava profilarsi un’armonia, come
nel caso dell'enumerazione dei versi 38-40 interrotta dalla virgola, cui segue
l’ennesima variatio del soggetto."
Qua
Palma sembra
indulgere ad
un difetto tipico
di molti critici:
quello di concentrarsi
su dettagli
formali e linguistici
perdendo di
vista il semplice
buon senso.
Tutto
ciò che
egli osserva
è vero
e ben detto;
ma, come direbbe
qualche politico
nostrano, che
c'azzecca?
Il
fatto che Lucano,
allevato alle
scuole di retorica
imperiali, faccia
sfoggio di abilità
(tra l'altro
quasi mai fine
a se stessa,
ma in genere piegata
all'espressione
di un ben preciso
messaggio),
in che modo
esclude che
egli volesse
anche veicolare
un messaggio
ideologico anti-imperiale?
Francamente
non lo capisco.
Jean-Baptiste Romand & François Rude
Catone
l'Uticense che
legge il Fedone
di Platone prima
di suicidarsi
(1832-35)
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Ma proseguiamo
nella lettura:
"La
complessità della sintassi e un certo gusto per i termini più densi di effetto
e altisonanti sono compensati, anzi trovano maggior risalto grazie alla
relativa essenzialità del lessico, che prevede molti sostantivi, anche sinonimi
e pochissimi aggettivi e quei pochissimi con uno scarso valore connotativo:
l’aspra Leucade a indicare un luogo roccioso e quindi scosceso, e l’Etna
ardente, un vulcano. Farebbe eccezione Munda, funesta perché ha ospitato uno
dei momenti più drammatici della guerra civile, se non si trovasse in un verso
costruito come un complicato meccanismo: un chiasmo (ultima funesta… proelia Munda) e un parallelismo grammaticale
(aggettivo con aggettivo, sostantivo con sostantivo) separati dal verbo concurrant, collocato dopo la cesura.
In
questa ricerca esasperata di asprezza abbondano naturalmente le figure
retoriche del suono: allitterazioni e consonanze sono la regola (si segnalano invenere viam, aeterna parantur, saturentur
sanguine manes), ma non mancano omoteleuti come quelli, che al pari di
rime, caratterizzano le clausole dei vv. 38-9 e 40-1 (campos, manes, labores, classes)."
E
qui, in maniera
brusca ed improvvisa,
termina la trattazione
del problema-proemio
da parte di
Palma, senza
che egli ci
chiarisca cosa
mai c'entri
tutto questo
con il problema
centrale e come
l'utilizzo di
figure retoriche
escluderebbe
l'intenzione
ironica.
Eppure
tutta la parte
precedente del
discorso mi
era sembrata
bene impostata
e pienamente
condivisibile:
è strano
che le conclusioni
siano queste.
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