CHE COS'E' L'IRONIA

 

 

Per il soggetto ironico la realtà data

ha perso completamente il suo valore,

gli è diventata una forma imperfetta e intralciante. [...]

Per l'altro verso però, non possiede il nuovo.

Sa una cosa sola, che il presente non corrisponde all'idea [...].

In un certo senso l'ironista è veramente profetico.

(S. Kierkegaard, "Il concetto di ironia

in costante riferimento a Socrate", 1841)

 

Un'eccellente introduzione, sintetica e precisa,  al fenomeno dell'ironia, si trova nel capitolo "L'ironia nel libro di Giobbe" che fa parte del saggio di Gianantonio Borgonovo "La notte e il suo sole: luce e tenebra nel libro di Giobbe; analisi simbolica" (Analecta Biblica 135, Roma, 1995).
L'autore, in modo metodologicamente ineccepibile, prende le mosse dalla definizione fornita da Heinrich Lausberg nel suo celebre manuale Elementi di retorica (Il Mulino, Bologna 1969; titolo originale Elemente der literarischen Rhetorik, München, Max Hueber Verlag, 1949), a sua volta debitore delle teorie retoriche classiche, e classifica i diversi fenomeni riconducibili all'ironia suddividendoli in alcune categorie fondamentali.
Mi sembra che questo sia il miglior punto di partenza per la mia ricerca: ne riassumo perciò di seguito l'inizio, riportandone gli stralci fondamentali. 

 

Søren Kierkegaard

Anzitutto è necessario fare un po' di chiarezza sul significato del vocabolo: come afferma infatti Luis Alonso Shökel in un suo saggio del 1987, vi è oggi un uso "confuso ed abusivo" del termine ironia.

La retorica classica greco-latina distingueva solo due forme di ironia: quella retorica (o verbale) e quella drammatica; Quintiliano ad esempio (Inst. Or. IX, 2, 44), e tutti i classici citati dal Lausberg, non ne conoscono (o riconoscono) altri tipi.

La distinzione "canonica" odierna tuttavia è triplice: ironia retorica, drammatica e narrativa.

Tutte e tre mantengono un certo ancoramento, in diverso modo, al significato etimologico del termine: in greco infatti eironèia indicava il modo di parlare e di comportarsi di un tipico personaggio della commedia classica, l'èiron, ovvero "dissimulatore", il quale veniva contrapposto nell'agòn al suo opposto, l'alàzon o "millantatore"; il primo, in grado di nascondere la sua astuzia sotto la maschera dimessa del perdente, finiva sempre per vincere sul secondo, spaccone e ingenuo, incapace di fingere.
Tutte le forme di ironia hanno in comune il fatto di fare perno sulla distanziazione che si crea tra l'autore e i suoi personaggi (nel dramma o nella narrazione).