Callimaco
(Cirene, 305 a.C.
- Alessandria d'Egitto, 240 a.C.)
è il teorizzatore
del nuovo modo
di intendere
la poesia che
si affermò
nel III secolo
a.C.; com'è
noto, nei suoi
scritti egli
diede ampio
spazio alle
dichiarazioni
di poetica.
Tra
i suoi
testi superstiti,
quelli da cui
ricaviamo
i caratteri
principali della
sua poetica
sono i seguenti:
Primo
prologo degli Àitia: contiene il
racconto dell'investitura poetica di Callimaco da parte delle Muse, avvenuta in
sogno; rimanda allusivamente al prologo della Teogonia di Esiodo, la cui poesia
è implicitamente anteposta all'altisonante epos omerico.
Secondo
prologo degli Àitia: contiene la celebre invettiva contro i
"Telchini", dèmoni maligni che adombrano i suoi detrattori. Essi
gli rimproverano di non saper comporre grandi poemi: Callimaco si difende
affermando il concetto che "l'arte si misura con l'arte, non con la pertica
persiana".
Finale
dell'Inno II (ad Apollo): Apollo scaccia con una pedata il demone dell'invidia, Φθόνος
(Phthònos), il quale sostiene che è bella solo la poesia
"grande come il mare", contrapponendola ovviamente alle opere di Callimaco; Apollo,
dio della poesia
e quindi giudice
inappellabile, replica che perfettamente pura è solo
l'acqua che sgorga da una piccola sorgente, mentre l'Eufrate trascina con sé
detriti di ogni
sorta. Di queste
parole di ricorderà Orazio
(Satire 1, 4, 11) nel criticare il suo predecessore Lucilio, di cui dirà
che lutulentus
fluebat, "scorreva
fangoso".
Presunto
ritratto
di
Callimaco
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Epigramma
43: esprime profonda
avversione per il ποίημα τὸ κυκλικόν e per
"l'amante che a tutti si dona" (la poesia volgare).
Frammento
398 (epigramma): deride la "Lide" di Antìmaco di Colofone
definendola "una grossa donna" (avversione verso le opere di grandi
dimensioni).
Frammento
456 (non identificato): dice testualmente: τὸ
μέγα βιβλίον...
ἴσον τῷ μεγάλῳ
κακῷ
(più
o meno "grande libro
uguale grande schifezza").
Giambo
IV (contesa tra l'alloro e l'ulivo): adombra una contesa letteraria di
cui ci sfuggono i termini esatti. Nella contesa fra le due piante, che rappresentano
modi opposti
di concepire
la poesia (probabilmente
l'epos e la
poesia didascalica),
ma hanno entrambe
una certa dignità,
s'intromette un rovo che cerca di dire la sua, ma
viene messo seccamente a tacere.
Giambo
XIII: Callimaco difende la sua Musa dagli
attacchi dei detrattori, riallacciandosi alla tradizione di Ipponatte e
Mimnermo.
Epigramma
21: epitafio per il padre del poeta, in
cui Callimaco afferma di avere vinto la βασκανίη (= maligna
invidia).
Epigramma
525: ancora per il padre morto. Callimaco
afferma di avere composto carmi κρείσσονα
βασκανίης ("più forti
dell'invidia").
Ibis: era tutto
(pare) una feroce invettiva contro un avversario ignoto (forse Apollonio
Rodio), paragonato, per motivi che non conosciamo ma che si possono facilmente
intuire, all'uccello egiziano dalle
discutibili abitudini igieniche (lo si riteneva coprofago). Lo imitò Ovidio nell'omonimo componimento.
"Contro
Prassìfane": opuscolo perduto
contro Prassìfane, discepolo di Aristotele, in difesa della propria poetica.
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