LUCANO: I PERCHE' DELLA CENSURA NERONIANA

 

 

Dei poeti, come Virgilio, Orazio, Ovidio, non discorro.

Adulatori per lo più de’ tiranni presenti, sebben

lodatori degli antichi repubblicani.

Il più libero è Lucano.

 

Giacomo Leopardi, Zibaldone

 

A proposito dei rapporti fra il giovane Nerone e il suo quasi-coetaneo Lucano, generalmente si suol dire, semplificando la situazione, che "in un primo tempo" sarebbero stati buoni se non ottimi, cementati probabilmente dal comune amore per la poesia; poi un evento traumatico, di solito identificato con la vittoria di Lucano ai Neronia del 60 d.C., avrebbe improvvisamente guastato i rapporti, facendo scattare la censura da parte del princeps: a Lucano venne proibito di continuare a pubblicare il poema, del quale avevano visto la luce soltanto i primi tre libri.

La situazione precipitò infine in seguito alla scoperta della "congiura dei Pisoni" nel 65: Lucano, coinvolto nel complotto, si uccise svenandosi (come lo zio Seneca) all'età di 25 anni; ne seguì una vera e propria damnatio memoriae nei confronti del poeta e del Bellum civile; il poema si salvò soltanto grazie alla caparbia opera di divulgazione clandestina compiuta dalla giovane vedova di Lucano, Polla Argentaria, aiutata in questo dagli amici Marziale e Stazio.

 

 

Testa marmorea di Nerone

 

Ma quali sarebbero state le cause scatenanti della rottura?

Le motivazioni proposte sono sostanzialmente due, e non si escludono a vicenda:

- l'invidia da parte di Nerone nei confronti di Lucano, poeticamente più dotato;

- la forte impronta anti-tirannica e filorepubblicana del poema lucaneo.

Né l'una né l'altra delle due ipotesi è suffragata da testimonianze certe, per cui dobbiamo muoverci con cautela sul terreno minato delle ipotesi. In particolare, se è vero che, come sostiene in genere la critica, l'atteggiamento di opposizione politica è avvertibile soprattutto a partire dal IV libro del Bellum civile, non si vede per quale motivo il princeps si sarebbe dovuto indignare a tal punto per la pubblicazione dei primi tre. Ma questa tesi è tutta da dimostrare.

Prendo spunto da un saggio su Lucano di Alerino Palma (leggibile per intero qui) per tentare di gettar luce su questa spinosa questione. Ne riporto di seguito alcuni stralci.

 

"Lucano attraverso le fonti.

La sola opera di Lucano che sia giunta fino a noi è il Bellum civile, intitolato in alcune edizioni Pharsalia, in italiano Farsaglia, in base all'interpretazione di un riferimento interno: Pharsalia nostra / vivet et a nullo tenebris damnabimur aevo (IX 985-6) [1]. Il Bellum civile è un poema epico-storico in esametri di 10 libri, rimasto incompiuto al X libro, che è infatti più breve degli altri, e si interrompe in medias res, nel pieno del racconto della sollevazione di Alessandria contro Cesare, mentre, secondo le intenzioni dell’autore, che aveva concepito il poema come anti-Eneide [2], il Bellum civile doveva terminare, con il XII libro, alle idi di marzo."

 


 

[1] Si tratta quasi certamente di un’interpretazione errata: si veda Carolus Hosius, cum Lucani de Bello Civili, cui mumpsimi amatores sive imprudentes falsum titulum “Pharsaliam” infulcire et Hosii et Housmani monitis surdi perseverant…; cfr. introduzione al Bellum civile, Stoccarda 1988, p. IV e ancora: “Le titre de Pharsalia, qui est celui de presque toutes les éditions et de quelques manuscripts très récents, provient d’un passage du livre IX (vers 985-6) mal interpreté”; cfr. l’introduzione al Bellum civile, Paris 1947. Il titolo Bellum civile, oltre che dalla tradizione, è attestato nella Vita Lucani di Svetonio: …dein “Civile Bellum”, quod a Pompeio et Caesare gestum est, recitavit…

[2] “Si può con ogni probabilità congetturare che Lucano avesse avuto l’intenzione di articolare il suo poema in dodici libri – con l’intenzione di narrare gli avvenimenti dal 49 a.C. (inizio della guerra civile tra Cesare e Pompeo) all’uccisione di Cesare, avvenuta alle idi di marzo (15 marzo) del 44 – e lo avesse concepito come un componimento epico programmaticamente contrapposto all’Eneide di Virgilio” (introduzione di R. Badalì al Bellum civile, Milano 1999).