B.
VIRGILIO,
LE
BUCOLICHE
Come
s'è
detto,
colui
che
dà l'avvio
al mito dell'Arcadia
è
il Virgilio
delle Bucoliche.
Ciò che
infatti prevale nella
poesia bucolica
virgiliana,
che
appare come
connotato fondamentale
dell’opera,
è proprio
l’individuazione
di un locus
amoenus, un
luogo ideale
per bellezze
naturali e per
tranquillità,
in cui "vivere
appartato"
secondo i suggerimenti
epicurei, al
riparo dalle
tempeste della
vita e della
politica, che
in quel momento
stava dilaniando
l'Italia con
la terza guerra
civile (di cui
si colgono echi
dolorosi nelle
ecloghe considerate
autobiografiche,
la I e la IX).
Quale
luogo è
individuato
da Virgilio
come
amoenus? La
collocazione
geografica delle
ecloghe è
generalmente
vaga: tre volte
si tratta probabilmente
della Val
Padana, cioè
la campagna
del poeta stesso
(ecl. I, VII
e IX), una volta
della Sicilia,
per la precisa
imitazione teocritea
(ecl. II, in
cui Coridone
è modellato
su Polifemo).
Ma in Virgilio
il locus
amoenus per
eccellenza è
appunto l'Arcadia, terra
del dio Pan,
che, come sappiamo
da un epigramma
di Meleagro
(AP VII 535),
è il
dio
dei pastori.
La scoperta dell'Arcadia come paesaggio spirituale
da parte di Virgilio è dovuta, sembra, alla reinterpretazione della notizia desunta da Polibio (proveniente
dall'autentica Arcadia peloponnesiaca e conoscitore della propria patria), il quale
riferiva come i suoi abitanti venissero esercitati fin dalla prima giovinezza al canto.
La sostanziale novità introdotta da Virgilio rispetto a Teocrito consiste
nell'utilizzo allegorico
del
tema
pastorale,
che
resterà
poi
per
sempre
caratteristico
del
genere.
Dietro i personaggi virgiliani,
che
in
apparenza
si
muovono
ed
agiscono
nel
rispetto
del
precedente
teocriteo, si scorgono le vicende personali del poeta, legate a
personaggi
reali
ed
a fatti militari e
politici del suo tempo; soltanto nel già citato idillio Le Talisie
è
dato
scorgere
qualcosa
di
simile
in
Teocrito.
Solo
per
fare
un
paio
di
esempi
celebri,
nella
prima
Bucolica
il lamento del pastore Melibeo,
privato delle proprie terre,
allude
alla
situazione
personale
del
poeta,
espropriato
dei
suoi
possedimenti
in seguito alla battaglia di Filippi,
mentre
il
protagonista
della
decima
Bucolica
è
Cornelio Gallo, amico del poeta e caposcuola dell'elegia latina, il cui amore infelice fa da contraltare alla serenità dell’ambiente bucolico. Si tratta di una sorta di
dichiarazione di poetica posta alla fine dell’opera anziché all’inizio (ma già
Teocrito aveva collocato la sua dichiarazione di poetica in posizione anomala, appunto
nell’idillio VII,
Le Talisie).
Ritratto
di Virgilio
Nelle
Bucoliche
i
riferimenti
all’Arcadia
come luogo di
poeti cantori
sono frequenti:
basti pensare
all’Arcades
ambo della VII
Ecloga (VII
4), in cui l’indicazione
serve a sottolineare
le qualità
ideali dei due
gareggianti,
e supera l’incongruenza
della collocazione
geografica presso
il Mincio. Ma
è soprattutto
nella già
citata X ecloga
che l'Arcadia appare
come locus amoenus:
una regione
remota e appartata che
potrebbe fungere
da
rifugio per
Cornelio
Gallo, il
quale, abbandonato
da Licoride,
soffre per amore;
una terra ricca di canti
bucolici che
permettono un’evasione
dal reale.
Ma
è proprio
questa evasione
dal reale, o
meglio dalla
sua sofferenza,
che rifiuta
Gallo, il quale
alla fine non
accetterà
l'invito di
Virgilio a trasferirsi
in Arcadia e
preferirà
rimanere schiavo
d'amore (per
lui infatti
amor omnia vincit).
E' evidente
il valore metaforico
e metapoetico
del componimento:
Cornelio Gallo
simboleggia
la poesia
elegiaca, di
cui era stato
il fondatore
latino, e Virgilio
quella bucolica,
da lui introdotta
in Roma: la
prima tutta
basata sul servitium
amoris, la seconda
basata all'opposto
sulla
ricerca della
serenità
interiore e sul
rifiuto della
passione erotica
come fonte di
inutili sofferenze, con un evidente riferimento all’atarassia epicurea,
di cui la poesia bucolica virgiliana è la traduzione in termini poetici.
Di
particolare
interesse,
ai
fini
della
presente
ricerca,
è
il
fatto
che
Virgilio
non
solo
sia
il
"fondatore"
del
mito
dell'Arcadia,
ma
anche
il
primo
a
porre
in
connessione
l'idillica
felicità
arcadica
con
la
presenza
incombente
della
morte,
dando
così
l'avvio
a
quello
che
sembra
essere
il
tema
portante
del
motto
Et
in
Arcadia
Ego,
il
memento
mori:
infatti
la prima apparizione di una tomba con iscrizione memoriale (a Dafni)
nell'ambientazione idilliaca dell'Arcadia si ha proprio nelle Bucoliche di
Virgilio, precisamente nella quinta ecloga (versi 40-44):
Spargite humum foliis, inducite fontibus umbras, pastores (mandat fieri sibi talia Daphnis), et tumulum facite, et tumulo superaddite carmen: «Daphnis ego in silvis hinc usque ad sidera notus formosi pecoris custos formosior ipse».
Cospargete la terra di foglie, ricoprite d'ombra le fonti,
pastori: Dafni raccomanda che per lui si facciano tali onoranze;
e
costruite un tumulo e sul tumulo incidete l'epitafio:
«Io Dafni nei
boschi, e di qui noto fino alle stelle,
custode di un bel gregge, io
stesso più bello».
Virgilio dunque è
il
padre
dell'Arcadia:
egli
infatti
colloca
i suoi pastori-poeti
in quella regione montuosa, terra di Pan e patria del canto, sfumando il tutto nell'irreale,
conferendo
alla
mascherata
un
inedito
significato
allegorico
e
creando un intreccio di realtà e
mito che da allora diverrà caratteristica di ogni Arcadia.
Ciò
che
ancora
manca
in
lui,
almeno
alla
luce
delle
nostre
conoscenze,
è
il
significato
metaforico
del
pastore
come
"iniziato"
o
custode
di
arcani
segreti,
figura
che
intravediamo
piuttosto
nelle
Talisie
di
Teocrito
e
nel
Circolo
di
Cos: al
di
là,
infatti,
della
fin
troppo
manifesta
adesione
al
credo
epicureo,
non
sembrano
esservi
nelle
Bucoliche
allusioni
ad
alcun sapere
più
o
meno
esoterico.
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