I VOLTI DELL'AMORE: PLATONE

 

 

Sul piano individuale l'amore è ovviamente una passione, ma è una passione particolare. In questo senso Platone è in totale controtendenza rispetto a quasi tutti i pensatori antichi: egli infatti considera in genere negative le passioni, in quanto legate al corpo e nemiche dell'anima che da esse deve purificarsi, ma al contrario giudica positivo, anzi fondamentale, l'amore: non la philìa, ma proprio l'eros. Esso infatti, come leggiamo nel Fedro (244a-245c), è μανία, "follia", ma è θεία μανία, "divina follia"; per essere più precisi è una della quattro forme di thèia manìa, e cioè:

la follia màntica (profetica), ispirata da Apollo;

la follia telèstica (rituale ed orgiastica, iniziatica, legata ai culti misterici), ispirata da Dioniso;

la follia poetica, ispirata dalle Muse;

la follia erotica, ispirata da Eros e Afrodite, la più alta di tutte.

La parte principale del Simposio platonico è occupata dal discorso di Socrate, che riferisce quanto udito da una sacerdotessa, Diotima. Ella narra il mito della nascita di Eros, generato da una mendicante, Penìa (= Povertà), e da un dio, Pòros (= Espediente), ad indicare che l'amore nasce dalla mancanza e dal bisogno ed è disposto a tutto pur di ottenere il suo scopo.

Eros dunque, essendo figlio di un dio e di una mortale, non è né dio né uomo, ma qualcosa di mezzo, un demone: termine che non si sa se sia da interpretare alla lettera (problema che si pone anche per il ben noto δαίμων socratico) o come metafora dell'amante che desidera ciò che non ha e del filosofo che tende verso la sapienza ma non la possiede. 
Eros è desiderio di bellezza e di bontà da parte di chi, dato che le desidera, ovviamente non le possiede. Esso è un tendere verso, che nella prospettiva platonica significa tendere verso il mondo delle idee.

Eros s'innamora necessariamente della bellezza, perché è l'unica Idea che si manifesta nel mondo visibile. Contemplandola, si accende dentro di noi una scintilla, una sorta di déjà vu, che fa sì che per un attimo "ci ricordiamo" chi siamo e da dove veniamo: si tratta dell'anàmnesi, che per Platone è la sola vera forma di conoscenza. Inizia così un processo dinamico di risalita: chi è posseduto dall'eros passa dall'amore per le cose belle, via via attraverso successivi gradi di ascesi, fino alla contemplazione del Bello in sé, dell'idea del bello, che è anche il Bene.

L'eros è dunque fondamentale nella prospettiva platonica, perché rappresenta la tensione, la forza che conduce al superamento dei limiti del mondo visibile per giungere al mondo delle idee.

Chi non si innamora manca quindi dell'esperienza più importante che sia dato sperimentare nella vita, e non sarà in grado di accendere in sé la luce del ricordo che, sola, può ricondurre l'anima verso il Bello e il Bene.

In poche parole, per Platone chi non si innamora mai è condannato a rimanere prigioniero della materia.

  

Gustave Moreau, San Sebastiano e l'Angelo, 1876

 

Si veda ad esempio questo brano del Simposio, che riporta una parte del discorso della "straniera di Mantinea" Diotima:

 

XXVIII. Sino a questo grado nei misteri amorosi, Socrate, forse avresti potuto iniziarti da te. Ma nelle dottrine perfette e contemplative, alle quali, ove si proceda rettamente, quelle finora esposte servono di preparazione, non so se ne saresti capace. Te le esporrò dunque io, disse, e non tralascerò di metterci tutta la mia buona volontà. E tu cerca di seguirmi, se ti riesce.

Chi vuole incamminarsi per la via diritta e per questa impresa, deve da giovane andare verso i bei corpi, e dapprima, se chi lo guida lo guida dirittamente, amare un sol corpo e generare in esso discorsi belli; e poi intendere che la bellezza in un qualunque corpo è sorella della bellezza d'un altro corpo; e se convien perseguire ciò che è bello d'aspetto, sarebbe una grande stoltezza non stimare che una sola e identica sia la bellezza in tutti i corpi. E inteso che abbia questo, divenire amante di tutti i bei corpi, e calmare quei suoi ardori per uno solo, spregiandoli e tenendoli e vile.

E in seguito reputare che la bellezza delle anime sia di maggior pregio che la bellezza del corpo, sicché, ove uno sia bello dell'animo, quand'anche poco leggiadro, se ne contenti e lo ami e ne prenda cura e partorisca e cerchi ragionamenti siffatti che valgano a render migliori i giovani, affinché sia dipoi costretto a considerare il bello che è nelle istituzioni e nelle leggi, e riconoscere che esso è tutto congenere a sé, e si persuada così che il bello corporeo non è che piccola cosa.

E dopo le istituzioni lo conduca più in alto, alle scienze, perché veda alla loro volta la bellezza delle scienze, e mirando all'ampia distesa del bello, non più, estasiandosi come uno schiavo, davanti alla bellezza d'una singola cosa, d'un giovanetto o d'un uomo o d'una istituzione sola, e servendo sia una abietta e meschina persona; ma volto al gran mare della bellezza, e contemplandolo, partorisca molti e belli e magnifici ragionamenti e pensieri in un amore sconfinato di sapienza, fino a che, in questo rinvigorito e cresciuto, non s'elevi alla visione di quell'unica scienza, che è scienza di cosiffatta bellezza
E ora, continuava, fa' di aguzzare l'occhio della mente quanto più puoi.

XXIX. Giacché colui che sia stato educato fin qui alle cose amorose, contemplando a grado e grado e rettamente il bello, pervenuto al termine della via d'amore scorgerà d'improvviso una bellezza di sua natura stupenda, e precisamente quella, Socrate, per la quale si eran durati tutti i travagli precedenti, quella che innanzi tutto è eterna, che non diviene e non perisce, non cresce e non scema; e poi, che non è bella per un verso e brutta per un altro, né è volte sì a volte no, né bella rispetto a una cosa e brutta rispetto ad un'altra, né qui bella e lì brutta, o bella per alcuni e brutta per altri. Né, per di più, la bellezza prenderà ai suoi occhi forma come di volto o di mano o d'alcunché di corporeo, né d'un discorso o d'una scienza o di qualcosa che sia in un altro, in un animale, poniamo, o in terra o in cielo o dove che sia, ma gli apparirà qual è in sé, uniforme sempre a se medesima, e tutte le altre cose belle, partecipi d'essa in tal modo, che, mentre queste altre e divengono e periscono, essa non diviene punto né maggiore né minore, e non soffre nulla. E quando alcuno, per aver rettamente amato i fanciulli, sollevandosi dalle cose di quaggiù, prenda a contemplare quella bellezza, allora può dirsi che abbia quasi toccato la meta. Perché questo appunto è procedere sulla via d'amore o esser guidato dirittamente da un altro: muovendo dalle belle persone di quaggiù ascendere via via sempre più in alto, attratto dalla bellezza di lassù, quasi montandovi per una scala, da un bel corpo a due, e da due a tutti i bei corpi, e da' bei corpi alle belle istituzioni e dalle istituzioni alle belle scienze per finire dalle scienze a quella scienza che non è scienza d'altro se non in quella bellezza appunto; e pervenuto al termine, conosca quel che è il bello in sé.

Questo, mio caro Socrate, se altro mai, diceva l'ospite di Mantinea, è il momento della vita degno per un uomo d'esser vissuto, allorché egli può contemplare la bellezza in sé.


(Convito, in Opere complete, Roma-Bari, Laterza, 1971, vol. III, pp. 449-50)

 

Da notare come Platone dia per scontato che il vero amore sia solo omosessuale, di maschi che amano altri maschi: in precedenza infatti, attraverso il discorso di Pausania, il filosofo ha chiarito che esistono due Veneri, quella Pandemia e quella Urania, e di conseguenza due amori: pandemio ed uranio.

Il primo, quello pandemio, come dice il nome è "volgare", ossia in senso letterale è quello che il volgo prova e approva: esso è compromesso con l'attrazione sessuale e porta quindi verso la materia, ed è tipicamente eterosessuale, giacché la spinta sessuale è più normale, per non dire inevitabile, fra sessi opposti. Inoltre la donna è ritenuta intellettualmente e moralmente inferiore all'uomo, ed in quanto tale non in grado di suscitare un'attrazione spirituale.

Il secondo, quello uranio, è etimologicamente "celeste", ed è quello che porta ad innamorarsi della bellezza dell'anima, a prescindere dalla componente sessuale, e ad elevarsi dalla materia verso l'Idea; di esso è responsabile evidentemente il "cavallo bianco" che, nel mito della biga alata raccontato nel Fedro, rappresenta la parte nobile dell'anima. Va da sé che questo tipo di amore è tipico di spiriti evoluti e non può essere rivolto che ad altri spiriti evoluti: dunque, nella prospettiva platonica, maschi che amano maschi (nella concreta realizzazione della Grecia antica, maschi adulti che s'innamorano di ragazzi giovani ed instaurano con essi un rapporto duraturo e fedele, un fenomeno di cui si hanno innumerevoli esempi, da Achille e Patroclo al "battaglione sacro" tebano).