APULEIO: AMORE E PSICHE

 

 

Il romanzo di Apuleio, Metamorfosi, è chiamato da Sant'Agostino (nelle ConfessioniL'asino d'oro, per ragioni non ben chiare:
- secondo alcuni, molto semplicemente, siccome il protagonista Lucio è biondo, quando si trasforma in asino anche l’intero vello dell’animale prende il colore dei suoi capelli;
- altri pensano che Sant’Agostino abbia voluto dare un titolo allegorico ad un romanzo che ha fatto dell’allegoria la sua ragion d’essere: lo straordinario patrimonio di conoscenze e di insegnamenti presenti in esso renderebbe le Metamorfosi un’opera che ha lo stesso valore del metallo più raro e prezioso.

Esso è diviso in undici capitoli ed ha una duplice chiave di lettura. A prima vista può apparire come una grande raccolta di fabulae milesiae “intrecciate” abilmente, come dichiara all'inizio il narratore stesso, che afferma di chiamarsi di Lucio e di essere greco. Il racconto che Apuleio si accinge a raccontare sembra quindi avere l’unico scopo di intrattenere e divertire il lettore.
"At ego tibi sermone isto Milesio varias fabulas conseram auresque tuas benevolas lepido susurro permulceam", che in italiano suona: "Ma io per te, con questo stile milesio, intreccerò varie favole e carezzerò le tue benevole orecchie." Un incipit che in apparenza sembra essere un'innocente richiesta da parte di Apuleio di prestare attenzione alle sue favole.
Ma il prologo si
conclude con un'ambigua esortazione: "Lector, intende: laetaberis", che può sembrare una semplice raccomandazione a prestare attenzione ad una favola divertente, oppure un ammonimento ben più profondo a "tendere le orecchie" al messaggio cifrato, che potrà "rendere felici". Ma anche questa interpretazione appare insufficiente: non si tratta infatti di una felicità qualsiasi, bensì, con ogni probabilità, della beatitudine eterna ("laetare" significa proprio "beatificare").

Così le Metamorfosi rivelano fin dall'inizio di essere molto più di una semplice raccolta di favole: esse sono il veicolo di un messaggio d'iniziazione dedicato solo a quelli che realmente " vedono" e soprattutto a quelli che realmente sanno ascoltare.

Dopo questa premessa ha inizio la storia di Lucio, l'incauto e bel protagonista del romanzo, costellata fin dal principio da fabulae che dovrebbero fungere per lui da sinistra premonizione, ma che invece non sortiscono altro effetto che quello di eccitare la sua naturale curiositas: proprio questa avidità di conoscere l'illecito lo porterà a cacciarsi in un guaio terribile, perché, nel tentativo di tramutarsi in uccello per magia, egli si trasformerà invece in un asino a causa di un banale errore della servetta Fòtide, sua amante ed ancella della maga di cui Lucio è ospite in Tessaglia (la terra delle streghe e della magia).

Non c'è da preoccuparsi, lo consola Fòtide, l'antidoto è facilissimo da trovare: basta infatti mangiare dei petali di rosa. Già: ma durante la notte alcuni briganti penetrano in casa, fanno razzia e rapiscono l'asino per trasportare il bottino, portandolo con sé nel loro covo sulle montagne, dove le rose non crescono. E poi sopraggiunge l'inverno.

Inizia così per il povero asino dall'intelletto umano una serie di tremende peripezie che lo porteranno a scendere sempre più in basso, sperimentando tutti i livelli dell'abiezione umana.

 

Lucio-asino e Fòtide

Quello che cambia in Lucio non è né solo né principalmente l’aspetto fisico: questa catabasi cambia completamente il suo punto di vista di fronte ad ogni cosa e ogni disavventura è un'occasione per una maturazione mentale e soprattutto morale. Attraverso gli occhi dell'asino è profonda la denuncia verso i costumi di una società degenerata. Lucio, passo dopo passo, si aliena da questa società, da ogni cosa materiale, ed alla fine, nel disperato tentativo di sottrarsi ad un laido accoppiamento con una condannata a morte, fugge a perdifiato e, sfinito, giunge in riva al mare, che simboleggia il termine del suo percorso di espiazione.
Si apre così l’undicesimo libro, culmine e trionfo dell’allegoria presente nel romanzo. Già di per sé, la suddivisione in undici libri è allegorica ed è probabilmente legata al significato ermetico del numero 11, di cui parla diffusamente René Guénon nel suo saggio L'esoterismo di Dante. Una scelta originale e anticonvenzionale, che non ha precedenti "classici". Ma è proprio in questo libro che è racchiusa la chiave interpretativa dell’intera storia e di conseguenza lo scioglimento.

Lucio si sveglia, vede la luna ed è una folgorazione, un’illuminazione improvvisa. Gli appare quindi in sogno Iside, la luce lunare, che gli spiega come fare per ritornare uomo.
Il mattino seguente, dopo aver mangiato dei petali di rosa dalla sacra ghirlanda del sacerdote di Iside, come suggeritogli dalla dèa, Lucio ritorna umano. La rosa è una figura allegorica tra le più misteriose di tutti i tempi, che ricorre, nella tradizione cristiana, anche in Dante: troppe volte per considerare questo continuo rimando un caso. Il suo significato simbolico risale all’antica tradizione ermetica, nata in Egitto, terra di Iside di cui la rosa è simbolo.
Ora Lucio è un uomo nuovo, liberato da Iside, della quale diventerà sacerdote. E qui il colpo di scena (che non può stupire di certo il lettore attento): Lucio si rivela all'improvviso per quello che è. Non è greco, ma di Madauro. La sua figura e quella di Apuleio ora combaciano ed è l’autore stesso che quindi si professa sacerdote della dea egizia e devoto anche di Osiride.
L’opera si può dire conclusa: non solo l’opera letteraria, bensì il percorso stesso del “bel filosofo”, che da immaturo e curioso “ignorante” diventa profondo conoscitore della realtà, che ora gli appare nelle sue vere sembianze.