Ritratto
di
Giuliano
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Flavio
Claudio
Giuliano
(Costantinopoli
331
-
Mesopotamia
363)
era
figlio
di
un
fratellastro
di
Costantino,
Giulio
Costanzo. Alla
morte
di
Costantino,
nel
maggio
del
337,
fu
preparato dal
vescovo
Eusebio
un
falso
testamento
che
accusava
di
avvelenamento
i
fratellastri.
Costanzo
II,
il
figlio
di
Costantino,
fece
così
sterminare
tutti
i
discendenti
maschi
dei
fratellastri:
il
padre,
il
fratellastro
maggiore,
uno
zio
e
sei
cugini
di
Giuliano
furono
massacrati. Furono
risparmiati
Giuliano,
perché
allora
di
soli
sei
anni,
e
l'altro
suo
fratellastro
Gallo,
forse
perché,
malato,
lo
si
ritenne
in
fin
di
vita.
Il
ricordo
della
strage
segnerà
Giuliano
per
tutta
la
vita:
«Tutto
quel
giorno
fu
una
carneficina
e
per
l'intervento
divino
la
maledizione
tragica
si
avverò.
Si
divisero
il
patrimonio
dei
miei
avi
a
fil
di
spada
e
tutto
fu
messo
a
soqquadro», scrive
Giuliano,
dicendosi
convinto
che
fosse
stato
il
dio
Helios
a
condurlo
lontano
«dal
sangue,
dal
tumulto,
dalle
grida
e
dai
morti»
(Messaggio al Senato e al popolo d'Atene, 270 cd).
Più
tardi
Giuliano,
dall'alto di
un'incommensurabile
superiorità
spirituale e
con una propensione
al perdono paradossalmente
simile a quella
di Cristo, pronuncerà
un
giudizio
fin
troppo
sereno a
proposito
dell'accaduto:
attribuirà
la
ferocia
di
Costanzo
alle
responsabilità educative
di
Costantino,
peraltro
dandone
la
colpa
all'ignoranza.
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«Ignorante
com'era»,
scrive
il
mite
e
dolce Giuliano, Costantino
credeva
«che
bastasse
avere
un
gran
numero
di
figli»
per
conservare
ciò
che
aveva
accumulato
«senza
intelligenza»,
e
non
si
era
preoccupato
«di
fare
in
modo
che
i
figli
fossero
educati
da
persone
sagge»
(Contro il cinico Eraclio, 227 d-228 b).
Ed
i
figli
non
fecero
altro
che
seguire
le
orme
paterne.
I due
fratelli
furono separati:
Gallo fu
mandato
a Efeso,
mentre Giuliano
fu trasferito
a Nicomedia,
nei cui
dintorni
la nonna
materna
possedeva
una villa
ove il bambino
trascorreva
le estati:
Giuliano
lo ricorda
come uno
dei periodi
più
felici della
sua esistenza.
La sua educazione
fu affidata
alle cure
del vescovo
Eusebio,
ma poiché
questi nell'autunno
del 337
fu promosso
alla cattedra
di Costantinopoli,
al piccolo
Giuliano
venne assegnato
come istitutore
il vecchio
eunuco Mardonio,
già
precettore
della madre.
Fu un
incontro
fondamentale
per la sua
vita. Mardonio
trasmise
al bambino,
e poi al
ragazzo,
un'autentica
venerazione
per la cultura
greca: da
lui Giuliano,
finora educato
in ambiente
cristiano,
apprese
la letteratura
classica
e scoprì
l'universo
del paganesimo,
che gli
parve infinitamente
più
ricco, interessante
e soprattutto
pieno di
modelli
di autentica
moralità
rispetto
a quello
cristiano.
Fu una vera
rivelazione
per
lui. Mardonio
era un educatore
molto severo
ed insegnò
a Giuliano
una morale
di tipo
stoico,
abituandolo
alla modestia,
alla frugalità
e al dominio
delle passioni. Nel
341, egli
venne allontanato
dall'amato
Mardonio
e spedito
insieme
al fratellastro
Gallo a
Macellum,
in Cappadocia,
dove trascorse
sei anni
di isolamento
e buio culturale,
per lui
molto penosi.
Nel 347,
però,
in seguito
ad una visita
di Costanzo
II, rimasto
bene impressionato
dai due
ragazzi,
essi furono
richiamati
a corte
e Giuliano
fu riaffidato
all'amato
Mardonio.
Tuttavia
Costanzo
vedeva Giuliano
come un
temibile
rivale,
dal momento
che il
suo fascino
e la sua
amabilità
gli accattivavano
le simpatie
della gente:
il suo storico
Ammiano
Marcellino
descrive
così
Giuliano a vent'anni: «di media statura, con i capelli lisci,
un'ispida barba a punta, con begli occhi lampeggianti, segno di viva
intelligenza, le sopracciglia ben marcate, il naso diritto e la bocca
piuttosto grande, con il labbro inferiore pendulo, il collo grosso e
curvo, le spalle larghe, ben fatto dalla testa ai piedi, così da essere
eccellente nella corsa» (Res gestae XXV, 4,22).
Sappiamo inoltre che era di carattere allegro ed estroverso, ed i suoi modi semplici lo rendevano
profondamente
diverso
dai
personaggi d'alto rango del suo tempo.
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